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Minniti e la sicurezza: un manifesto da segretario per una sinistra da ricostruire

Il manifesto di un possibile segretario del Pd. Il pensiero che aleggiava nella sala stracolma è stato esplicitato subito da Gianni Letta che ha così definito il libro di Marco Minniti “Sicurezza è libertà” (Rizzoli) che racconta la sua esperienza da ministro dell’Interno e nel quale prende per le corna il toro che la sinistra ha tenuto a distanza negli ultimi anni e che le ha fatto perdere le elezioni. Prima dei relatori la notizia stava nella platea: politici di primo piano, a cominciare da Massimo D’Alema e Paolo Gentiloni, e un bel pezzo di Pd, ma anche Renato Brunetta di Forza Italia; i vertici delle forze dell’ordine e dell’antiterrorismo, il comandante delle forze speciali e quello della Gendarmeria vaticana; prefetti, militari e intelligence; i vertici della procura romana; il segretario generale della Farnesina; un consigliere del Presidente della Repubblica. Un altissimo livello a conferma di ciò che ha rappresentato Minniti da molti anni prima che diventasse ministro, ma nella sala c’erano anche tanti elettori del Pd che vedono in lui l’uomo della Provvidenza. L’ex titolare del Viminale ha dovuto confessare alla fine che sta pensando davvero a candidarsi alla segreteria del partito: “Non faccio il prezioso, ma è una forma di rispetto, voglio che la mia sia una risposta che non divida né personalizzi perché in questo momento non c’è bisogno né di divisione né di personalizzazione”. Qualche ora prima Minniti aveva spiegato che non potrà sottrarsi se servirà a “garantire un percorso più unitario”.

La presentazione del volume, moderata da Lucia Annunziata, è stata una seduta di autocoscienza collettiva sui concetti di sicurezza e bene comune da intendere come basi della democrazia. Letta, che è stato anche sottosegretario con delega ai servizi segreti come Minniti, ha insistito sulla distinzione tra politica e istituzioni che l’autore del libro ha saputo servire senza essere di parte nonostante una forte passione politica. “Non si gioca nel campo del partito, si gioca in nazionale” frase che, unita a quella sulla mancanza di competenza, studio e preparazione “di questi tempi”, è parsa una didascalia alla fotografia di Salvini & Di Maio. Minniti nel libro racconta anche i rapporti con la Libia e l’apertura dei corridoi umanitari, per i quali è stata fondamentale la collaborazione con la Chiesa e con la Comunità di Sant’Egidio. Il cardinale Angelo Becciu l’ha detto chiaramente: “C’è una realtà di paura, la gente ha paura” aggiungendo che “tutto è così complicato che non si può lasciare ai semplificatori dei nostri tempi”.

Sappiamo da tempo che il dibattito interno al Pd e alla sua base girerà molto sui temi della sicurezza e l’analisi di Walter Veltroni ha offerto più di uno spunto per le discussioni future. Ha ragione quando sostiene che la sinistra “non ha saputo affrontare la paura nel suo complesso, non solo quella della violenza fisica, ma anche quella del lavoro e del futuro dei figli” e una volta per tutte occorre “fare i conti con la percezione della sicurezza”, a prescindere dai fatti. Il suo slogan per la sicurezza vista da sinistra deve unire le parole “legge e ordine” con “giustizia sociale” e non c’è dubbio che sia miope affrontare i problemi delle migrazioni in chiave nazionalistica: nel 2050 l’Europa avrà 628 milioni di abitanti, l’Africa arriverà a 1 miliardo e 766 milioni, 1 miliardo e mezzo più del 1950. Il rischio, secondo Veltroni, è che la paura si trasformi in odio e certo non aiuta “il dilagante odio nella politica”.

“Abbiamo avuto un approccio aristocratico”. Minniti prova (e proverà in futuro) a mandare in analisi il suo partito e i suoi elettori perché quello è un concetto duro da digerire pur essendo la verità. L’approccio del Pd e della sinistra in genere verso chi ha paura è stato quello di interpretare “la rabbia come un’intesa con il nemico, con l’avversario”. Così, la “rottura sentimentale” ha portato alla “sconfitta più dura dal 1948”. Il suo libro è “tutt’altro che divisivo”, ma certo la sinistra “non può pensare a un orizzonte riformista se non affronta questi problemi e il bene comune significa stare vicino a chi ha risparmiato per acquistare un appartamento in un quartiere periferico e non può cambiare casa perché quella zona ora è a rischio”, significa “stare accanto a chi prende l’autobus la mattina”. Se dunque sicurezza e immigrazione sono la grande sfida di questa epoca, Minniti è convinto che solo la sinistra, e non i “nazionalpopulisti”, abbia gli strumenti per affrontarla coinvolgendo tutti i sindaci e che l’interesse nazionale sia quello che porti verso gli Stati Uniti d’Europa.

Minniti sa che candidandosi alla segreteria avrà, comunque vada, un compito improbo perché la sinistra deve ancora compiere un salto di qualità mentale. L’ha dimostrato Veltroni quando ha ribadito che la sicurezza non si ottiene solo con la repressione perché la violenza aumenta con l’aumento della povertà e dunque la giustizia sociale è decisiva. Il concetto fila, eppure la sensazione è che la gente comune che prende il bus la mattina e che ha votato o vorrebbe votare per il Pd desideri anche più repressione. Se nei prossimi mesi si girerà intorno a questo rospo da ingoiare, la sinistra continuerà a litigare e a perdere.

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