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La legge italiana sui minori abbandonati è fuori dalla realtà. Numeri e soluzioni

Si devono soccorrere i minori abbandonati o in gravissimo stato di disagio? Certo che sì. Senza fare distinzioni. Ci mancherebbe. Adesso, dopo averlo detto, scopriamo perché non lo si può fare e perché, se proprio devi essere disgraziato, ti conviene essere straniero.

La legge italiana è fuori dalla realtà, o, meglio: figlia di una realtà che non esiste più. Da tempo. Stabilisce che se un minore viene abbandonato a provvedere debba essere il comune in cui è residente. In un contesto agropastorale ci sta: chi meglio del comune conosce la situazione di quei concittadini? Ora non ha senso, perché avendolo capito basta assicurarsi la residenza in un comune, abbandonare i bambini, andandosene altrove, per ritrovarseli mantenuti dalla municipalità. E non basta, perché se li mandi a commettere piccoli reati, o, più grandicelli, provvedono a organizzarsi da soli, anche se li arrestano a mille chilometri di distanza il conto della casa famiglia dove verranno inviati sarà recapitato al sindaco di partenza.

Nessuno immagina si debba rifiutare assistenza a quei bambini, ma così procedendo si favorisce un mercato dell’abbandono. Il che genera fenomeni di rigetto, che se isolati dal contesto sembrano esecrabili, in realtà sono piuttosto pratici. Per capire guardiamo i numeri di un piccolo comune della Lomellina, Sant’Angelo, sindaco Matteo Grossi (cui li ho chiesti): il bilancio comunale si aggira attorno agli 800mila euro; più di 700mila se ne vanno in spese fisse, quindi ne restano meno di 100mila per far cose che riguardano la cittadinanza (luci, giardini, decoro, ambulatori, e via così); nel 2018 la spesa per il pagamento delle rette a minori in difficoltà o abbandono ammonta a 73.720 euro, nel 2017 a 113.382, nel 2016 a 93.271 e si può andare indietro nel tempo constatando lo steso fenomeno: di soldi per la cittadinanza non ce ne sono, anzi, si contraggono debiti per pagare le rette. Il comune non può scegliere né l’istituto al quale affidarli né trattare il quantum. Deve solo pagare.

Questo genera un’altra piaga: se, magari, mandi i vigili urbani, quelli del fuoco, l’Asl o chi altri possa essere utile a intervenire in una condizione di disagio quelli devono stare attenti a non accertare troppo, perché se tornano indietro dicendo che c’è una famiglia che vive in condizioni inaccettabili il comune va in bancarotta. Ergo: i minori che vengono scientemente abbandonati o arrestati li devi mantenere per forza, perché non puoi non vederli, mentre quelli in miseria inaccettabile fai finta di non vederli, per non doverli mantenere. E non perché sei un odioso avaro, ma perché i soldi non li hai.

Incivile. Inammissibile. Vergognoso. Immorale e degradante per tutti noi. La soluzione c’è: la legge va adeguata alla realtà e quei minori non devono essere a carico dei comuni, ma dello Stato, con competenza al ministero degli Interni. Questo consentirebbe di avere una gestione unica degli affidi agli istituti, con economie di scala e risparmi sui costi, nonché di evitare la grottesca disparità a seconda che il comune di partenza abbia o non abbia i soldi per pagare l’assistenza. La mano che assegna e quella che paga deve essere la stessa. E non può che essere unica a livello nazionale. Al comune, semmai, va lasciato il compito di segnalare le situazioni di disagio.

Ogni giorno che si perde, non agendo in questo modo, è un giorno in più regalato al lievitare di ostilità, chiusure e rancori, senza dimenticare l’aspetto più importante: il presente e il futuro negati a quei bambini.

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