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Netanyahu e le sfide di Israele di fronte alle destre nazionaliste

israele

Netanyahu si è complimentato con il controverso neoeletto presidente del Brasile Jair Bolsonaro, che dopo l’elezione ha annunciato lo spostamento dell’Ambasciata del Brasile a Gerusalemme. Il premier israeliano è stato attaccato per la presunta “vicinanza” a un nuovo leader che è associato con l’estrema destra. Di recente, il leader israeliano è stato criticato per la visita dell’ungherese Orbán in Israele e per i legami con altri premier della destra nazionalista.

Tali critiche vorrebbero tracciare delle similitudini tra le agende politiche e sociali di diverse coalizioni di destra nazionalista e quelle di Israele; ossia, Netanyahu sarebbe amico dei premier della destra nazionalista e illiberale perché egli stesso è a capo di una coalizione nazionalista e illiberale.

Non c’è alcuna argomentazione che compari o associ le agende politiche, i linguaggi politici di Netanyahu con quelle di Orbán o Bolsonaro, ma è sufficiente che il premier israeliano si esprima con i complimenti di forma o incontri un leader in Israele o all’estero perché un tale nesso diventi la tanto attesa dimostrazione che Israele è ciò che ci si aspettava, cioè un Paese nazionalista e illiberale.

Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile dopo una campagna elettorale prevalentemente sviluppatasi sulle piattaforme digitali (Facebook, YouTube e WhatsApp). Le esternazioni del neoeletto presidente contro donne, minoranze e omosessuali si sono accompagnate alla promessa di combattere la corruzione (che ha portato l’ex presidente Lula in carcere e la successiva Rousseff all’impeachment), la crisi economica e la violenza nelle città. Da evangelico e difensore delle posizioni cristiane sioniste, Bolsonaro si era espresso anche in campagna elettorale su Israele, promettendo di trasferire l’Ambasciata del Brasile a Gerusalemme e di chiudere l’Ambasciata dell’Autorità Palestinese a Brasilia.

È la prima volta che il conflitto arabo-israeliano entra nel linguaggio politico brasiliano. Contrariamente agli Stati Uniti, non è un tema centrale nell’agenda politica brasiliana e riguarda un aspetto indentitario di Bolsonaro, che in quanto evangelico è un convinto sostenitore dello Stato ebraico. La stessa comunità ebraica del Brasile (nota bene: meno dello 0,2% della popolazione del Paese non hanno alcuna influenza sul voto) si è divisa riguardo a Bolsonaro. La stampa brasiliana ha anche riportato che Bolsonaro si è per ora limitato a dire che “lo spostamento non è ancora stato deciso”. L’Egitto ha cancellato all’ultimo la visita del ministero degli Esteri Nunes Ferreira (ma non la delegazione di imprenditori ai quali si doveva accompagnare) presumibilmente per pressioni ricevute dalla Lega Araba viste le posizioni pro-israeliane (così riporta il quotidiano “Folha de Sāo Paulo“).

Altre critiche sono state sollevate a luglio, quando Orbán ha vistato Israele o in occasione di altri contatti politici con la destra nazionalista europea. Ma i casi sono diversi, Orbán non è Bolsonaro (così come Kurtz non è Trump).

C’è da chiedersi quindi da cosa muovano le critiche agli indirizzi diplomatici di Netanyahu. Una genuina preoccupazione per le sorti delle comunità ebraiche dei Paesi in cui la destra nazionalista-illiberale avanza un discorso revisionista? Una preoccupazione per le conseguenze del linguaggio politico illiberale e xenofobo di vari leader che pur non ostili a Israele diventano “capacitatori” di antisemitismo? Una preoccupazione per la definizione dell’interesse nazionale dello Stato di Israele che accetta il sostegno politico di coalizioni che sbandierano valori illiberali? Tali domande sono il focus del dibattito politico israeliano.

L’avvicinamento dei movimenti di destra nazionalista e illiberale a Israele è un fenomeno cui si può dare inizio con l’11 settembre. La ridefinizione delle agende politiche dei movimenti della destra nazionalista europea e la volontà di rientrare nel mainstream hanno portato nuovi leader politici ad avvicinarsi a Israele. Così è stato con il Front National francese e la FPÖ tedesca. In entrambi i casi la vicinanza a Israele non si è accompagnata a una revisione dell’antisemitismo di cui erano intrise le ideologie da cui sono sviluppati questi stessi movimenti. Per anni Israele si è tenuta distante da questi gruppi politici, la cui svolta “pro-israeliana” è stata tanto repentina quanto superficiale. Agli occhi di certi gruppi politici, Israele è un alleato contro l’Islam, un modello di “identità” da imitare e una carta da giocare per distogliere l’attenzione dai legami o le nostalgie del passato nazi-fascista.

L’Europa da allora è cambiata. Alcuni di questi movimenti guidano governi. Nuovi gruppi politici, difensori di un nazionalismo spesso populista e dal linguaggio illiberale, sono parte di coalizioni di governo. In altri casi, saliranno presto al potere. Israele persegue un proprio interesse politico, che non necessariamente significa una comunanza di valori con leader e movimenti politici non ostili o amici di Israele. Allo stesso modo, non significa che questa vicinanza dica qualcosa sulla natura di Israele o del suo attuale governo.

Alcuni esempi recenti. La legge polacca che limitava la libertà di espressione criminalizzando certe posizioni o esternazioni su ciò che i polacchi hanno o non hanno fatto durante la Shoah è stata cambiata proprio grazie ai rapporti politici tra Polonia e Israele, che hanno firmato una dichiarazione congiunta (anch’essa controversa, ma che ha limitato i danni dell’imposizione di una narrazione storica di stampo revisionista). I rapporti politici non sono basati su una comunanza di visioni storiche politiche o di valori, ma hanno permesso che si arrivasse a un accordo.

Per quanto riguarda il Brasile, sarà Israele più sicura con Bolsonaro al governo? Le politiche dei precedenti governi sono state apertamente ostili a Israele. I legami con Iran, l’incapacità di fermare il finanziamento ai gruppi terroristici Hamas e Hezbollah, e l’aperta ostilità a Israele si sono consolidati con le precedenti presidenze. Forse tutto questo cambierà con Bolsonaro. Detto ciò, significa che Netanyahu concorda con le altre esternazioni su donne, minoranze e omosessuali? Non c’è un legame tra i due aspetti.

In secondo luogo, le affermazioni sulla dittatura militare e il linguaggio contro la diversità di Bolsonaro scatenerà episodi di antisemitismo in Brasile? Allo stesso modo, le esternazioni di altri leader contro la diversità e contro i valori liberali, assieme alla loro vicinanza in Israele hanno un effetto sull’antisemitismo? È la domanda che ci si pone dopo l’attacco alla sinagoga di Pittsburgh, cioè come il clima sociale che si è creato con un certo linguaggio politico possa scatenare un antisemitismo che si credeva dormiente e relegato a gruppi marginali. Ci si interroga in particolare sulla responsabilità del linguaggio politico americano abbia come “capacitatore” di antisemitismo, proprio quando la politica Usa è più che mai vicina a Israele.



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