“La storia del New York Times sulla Corea del Nord in fase di sviluppo di basi missilistiche è imprecisa. Siamo pienamente a conoscenza dei siti in discussione, niente di nuovo e nulla accade fuori del normale. Solo altre notizie false. Io sarò il primo a farvi sapere se le cose vanno male!” ha twittato il presidente americano, Donald Trump. E il riferimento, da cui ha colto l’occasione per criticare la stampa, è un articolo del Nyt – ma le stesse informazioni sono state riprese e arricchite anche da Washington Post, CNN, Reuters – in cui si parla di una dozzina di basi missilistiche in cui i nordcoreani starebbero portando avanti il proprio programma nucleare in via clandestina, nonostante i colloqui avviati dal satrapo Kim Jong-un con il presidente statunitense.
“Nelle ultime ventiquattro ore c’è stata una grossa copertura giornalistica delle analisi contenute in un report pubblicato dal think tank americano Csis (il Center for Strategic and International Studies, il quinto nei ranking mondiali per autorevolezza ndr) in cui si riportano i risultati di osservazioni fatte sulla base di immagini di satelliti commerciali dello scorso marzo”, spiega a Formiche.net Francesca Frassineti, analista dell’Ispi specializzata in Asia e Penisola coreana. “Queste immagini si focalizzano in particolare su una base missilistica, Sakkanmol, di cui la Corea del Nord non aveva mai dichiarato prima l’esistenza. Questo, ovviamente, non vuol dire che l’intelligence americana o sudcoreano non ne fossero a conoscenza: tutt’altro”. E infatti, sia Washington che Seul hanno rapidamente dichiarato che il rapporto non dice nulla di nuovo.
“Inoltre si fa riferimento a dodici basi missilistiche che restano ancora undecleared (ossia non dichiarate) da parte del governo di Pyongyang. Si parla di basi per vettori a corto raggio, ma anche qui non c’è molto di nuovo: il report, fondamentalmente mostra che la Corea del Nord sta continuando a rafforzare le sue capacità missilistiche. E sappiamo che in particolare sta lavorando ai lanciatori mobili, che sono il focus principale del suo programma, da usare a scopo di deterrenza: l’abilità di metterli in funzione nel minor tempo possibile, ossia prima di subire un attacco preventivo da parte degli Stati Uniti. È una componente chiave: e il rapporto conferma la situazione, che è nota nonostante i propositi del summit di Singapore (l’incontro bilaterale Trump-Kim, ndr)”.
Ma allora, perché tutto questo clamore sui media se in fondo il report non è altro che una conferma di situazioni già note? “Il Nyt dà una copertura assolutamente ingannevole, perché il messaggio che esce ci dice che, sulla base di queste immagini satellitari, la Corea del Nord sta agendo all’oscuro e in modo menzognero verso Washington e che lo stia facendo in mala fede, mentre i colloqui formalmente sono ancora in corso (anche se un incontro del segretario di Stato americano nei giorni scorsi è saltato)”.
Perché è ingannevole il Nyt? “Il punto è che la Corea del Nord in quell’accordo di quattro paragrafi sottoscritto da Trump e Kim a Singapore non ha preso nessun impegno né sul fronte nucleare né su quello missilistico: Pyongyang ha soltanto annunciato, ad aprile, una moratoria sui test. Ma questo non vuol dire che abbia interrotto la produzione dei missili o deciso di smantellare il suo programma, anzi nel famoso discorso di Capodanno, Kim aveva annunciato di non aver più bisogno di effettuare test (perché avrebbe raggiunto un buon livello tecnologico), ma che il 2018 sarebbe stato destinato alla produzione in massa di armi nucleari, ha proprio utilizzato il termine stockpile, ossia l’accumulo”.
Sappiamo che Stati Uniti e Corea del Nord, spiega l’analista dell’Ispi, ad oggi non hanno raggiunto nessun accordo che impedisca a Pyongyang di produrre missili o che obblighi allo smantellamento del programma; anche se il Nord sta violando delle risoluzioni dell’Onu. Anche perché, aggiunge Frassineti, Washington non ha finora offerto quelle misure reciproche che potrebbero porre le basi per condurre Pyongyang su quella strada: “A Singapore, e successivamente in altre uscite pubbliche, la Corea del Nord ha parlato sempre di impegni condizionali a concessioni americane”.
“Bisogna sempre ricordare che la questione del nucleare nordcoreano riguarda i rapporti tra Usa e Nord, perché uno degli aspetti che aveva spinto il regime ad avviare il programma, riguardava la percezione d’insicurezza che Pyongyang diceva di soffrire davanti alla cosiddetta politica ostile degli Stati Uniti nella regione. Questo è un tema centrale, perché significa che la Corea del Nord riconosce solo Washington come interlocutore”, spiega Frassineti.
Che ruolo ha la Corea del Sud? “La Casa Blu ha preso subito posizione sul polverone mediatico creato da quel report del Csis, per certi versi sminuendone gli sviluppi, perché continua a tentare il tutto per tutto per far sì che la finestra di opportunità aperta da Kim e Trump continui a dare i suoi frutti”. E infatti, aggiunge, passi importanti stanno arrivando dal dialogo inter-coreano: entro dicembre, per esempio, le due Coree rimuoveranno alcuni avamposti militari sulla linea di demarcazione all’interno della penisola. “Di più: anche nel caso in cui questo periodo di distensione dovesse in qualche modo naufragare, dobbiamo ricordare che Pyongyang e Seul hanno riattivato la linea di comunicazione interna che è una importante misura per ridurre le tensioni sul 38° parallelo ed evitare schermaglie accidentali”.
Non a caso, il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, questa mattina ha annunciato la possibilità di invitare il Nord al vertice dell’Asean che verrà ospitato in Corea del Sud l’anno prossimo. “Moon – aggiunge l’analista italiana – sta continuando a investire e proteggere il dialogo che ha contribuito da protagonista a costruire, di fronte a uno stallo esistente, benché Trump dica che non c’è fretta e si dimostri disponibile ad altri incontri con Kim”.
A che cosa è dovuto allora questo stallo? “È il problema di fondo: c’è un’incompatibilità sul concetto di denuclearizzazione. Emerge in maniera sempre più preponderante come la Corea del Nord non voglia ottenere più una dichiarazione di fine guerra, ma un allentamento del giogo sanzionatorio da parte degli Stati Uniti. Però la cosa non appare possibile in base alle dichiarazioni dell’amministrazione Trump, per altro sposate anche dai leader europei: per esempio, inglesi e francesi hanno parlato di questa ferma opposizione alla rimozione delle sanzioni anche durante la visita in Europa di Moon”.