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Catturare CO2 per salvare il pianeta

Sappiamo bene che tutto questo eccesso di CO2 viene dalla combustione delle fonti fossili (carbone, petrolio e gas naturale) ma anche da importanti processi industriali (cementifici, industria siderurgica).

Se lasciamo che l’anidride carbonica liberata si accumuli in atmosfera, impedendo alla radiazione solare che colpisce la Terra di disperdersi nello spazio, abbiamo un pericoloso aumento della temperatura del pianeta, proprio come avviene in una serra. IPCC ha verificato quanto stabilito dagli Accordi di Parigi sull’aumento della temperatura: non più di un paio di gradi centigradi entro la fine del XXI secolo.

Non esiste una semplice formula magica per impedire questo cambiamento climatico: dobbiamo lavorare su più fronti. Prima di tutto, dobbiamo promuovere ricerca, sviluppo e diffusione delle fonti rinnovabili e, nella transizione verso un futuro basato su queste tecnologie energetiche pulite, dobbiamo sfruttare in modo più efficiente le fonti energetiche fossili, privilegiando quelle che producono meno CO2 a parità di energia sviluppata (primo fra tutti il gas naturale). In parallelo, dobbiamo allungare la vita utile dei prodotti anche attraverso una loro progettazione che consenta un facile recupero, riciclaggio e riuso dei materiali.

Tutti gli scenari prevedono che nei prossimi decenni le fonti fossili saranno ancora dominanti nel panorama energetico mondiale. Per questo, occorre realizzare tecnologie che permettano, in modo efficiente ed economico, di catturare e di sequestrare in modo permanente i gas serra, prima fra tutti la CO2.

Sono note con la sigla CCS (Carbon Capture and Storage) e consistono nel sequestrare permanentemente la CO2 catturata con processi ben conosciuti direttamente alle fonti principali: gli scarichi degli impianti di produzione di energia e industriali in genere (raffinerie, cementifici, impianti siderurgici, …). L’anidride carbonica viene quindi portata in siti di raccolta e infine destinata allo stoccaggio geologico in campi petroliferi ormai esauriti oppure in bacini profondi di acqua salata. In questo modo, oggi nel mondo si stoccano 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (MtCO2/a) e ci sono progetti in corso per arrivare rapidamente a 15 MtCO2/a. Una bella cifra anche se ancora troppo bassa.

Ma catturare la CO2 per nasconderla sotto terra equivale un po’ a gestire i rifiuti semplicemente buttandoli in discarica. Sono necessari forti investimenti, elevati costi operativi e, infine, il monitoraggio continuo e permanente dei siti di stoccaggio sotterraneo.

Sappiamo che è meglio differenziare e riciclare i rifiuti, reimmettendoli nel ciclo produttivo, eliminando il problema delle discariche e producendo nuovi oggetti con un consumo minore di materie prime. Allo stesso modo, anche l’anidride carbonica può essere non solo eliminata, ma utilizzata e trasformata in qualcosa di utile. Questo è un elemento essenziale dell’economia circolare.

In questo caso si parla di CCU: Carbon Capture and Utilization. Una applicazione molto diffusa si chiama Enhanced Oil Recovery, che consiste nel iniettare anidride carbonica nei giacimenti di petrolio per smuovere e quindi spingere fuori più velocemente il greggio che ancora vi si trova. Anche in questo caso, la CO2 rimane intrappolata permanentemente nel giacimento quando questo si esaurisce. Da un lato si sottrae anidride carbonica all’ambiente e dall’altro la si utilizza per spingere fuori il petrolio. In questo modo, nel mondo oggi si mette una pietra sopra (letteralmente) a 28 MtCO2/a. E sono in corso progetti per portare questa cifra a oltre 40 MtCO2/a che si aggiungono agli stoccaggi “puri” di cui abbiamo già parlato.

Sommando tutti i progetti di stoccaggio, arriviamo a 70 MtCO2/a entro il 2025. Ma siamo ancora ben al di sotto delle raccomandazioni stabilite dagli Accordi di Parigi, che hanno fissato l’obiettivo di smaltire almeno 910 MtCO2/a entro il 2025 per arrivare ad almeno 11.250 MtCO2/a entro il 2060.

L’anidride carbonica può essere utilizzata anche nell’industria: sfruttata così com’è per impieghi tecnologici nell’industria alimentare (produzione di bibite gassate e simili), oppure come reagente nell’industria chimica: per la produzione di urea, di carbonati inorganici, metanolo e derivati si impiegano circa 200 MtCO2/a di anidride carbonica; e presto si arriverà a 300 MtCO2/a.

Ma trasformare l’anidride carbonica in qualsiasi cosa è energeticamente molto costoso, in quanto la molecola di CO2 è molto stabile. Anzi: è il più stabile composto a base di Carbonio che si conosca. Questo significa che per trasformarlo in qualsiasi altro composto, occorre spendere almeno la stessa energia che poi quel composto libererebbe se lo bruciassimo.

Infine, quando analizziamo un processo di CCU, dobbiamo valutare quanto tempo il Carbonio riutilizzato rimarrà in uso all’interno di quel prodotto prima di tornare in circolazione come CO2. Ad esempio, per anni o decenni se la trasformiamo in materiali plastici, o appena pochi mesi se la trasformiamo in metanolo o in un qualsiasi altro combustibile, poiché tornerà in circolazione non appena bruciata. Il vantaggio, però, consisterà nell’aver rimesso in circolo solo la stessa quantità di CO2 necessaria a produrre il combustibile senza sfruttare le fonti fossili tradizionali e dover quindi mettere in circolo nuova anidride carbonica.

In conclusione, i processi di CCS hanno limitazioni di lungo periodo analoghi a quelli delle discariche tradizionali per i rifiuti. I processi CCU, invece, non fanno altro che cercare di imitare il ciclo naturale del carbonio, che da miliardi di anni vede le piante e le alghe fissare la CO2 – grazie all’energia del Sole – per produrre zuccheri, amidi, cellulosa e lignina. Poi gli erbivori se li mangiano producendo anche aminoacidi e proteine di cui a loro volta sono ghiotti i carnivori. Quando gli animali muoiono, i microorganismi provvedono a nutrirsene liberando alla fine proprio tutta quella energia che era stata immagazzinata per rimetterla in circolazione a disposizione di nuove piante e nuove alghe.

I processi CCU sono parte di un ciclo virtuoso proprio dell’economia circolare: riciclano il carbonio dalla sua forma a minima energia (la CO2) per generare prodotti e/o combustibili. Ma il ciclo si deve chiudere sempre con la cattura della anidride carbonica emessa dal consumo di questi prodotti per poi essere rimessa in circolo in modo, idealmente, indefinito utilizzando fonti rinnovabili.

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