Che politicamente sia giovane è fuori discussione. Con i suoi 46 anni, Manfred Weber, ha ottenuto il via libera dal Congresso dei popolari europei per correre come “Spinzencandidat” del Ppe alle elezioni europee di primavera. Dunque, non deve ingannare se la platea popolare ha tributato un grande omaggio a Frau Angela Merkel. Le era dovuto, così come prima di lei era accaduto a Helmut Kohl. Piuttosto manca la necessaria consapevolezza, anche fra i popolari italiani, dell’importanza strategica che ricopre la cultura popolare tedesca nelle sue due anime, la Cdu e la Csu. Una consapevolezza che forse dovrebbe spingere i popolari italiani a curare sempre di più i rapporti con i tedeschi, anche come contrappeso virtuoso rispetto all’attrazione franco-tedesca.
Di sicuro Weber è un prodotto (giovane) di quella cultura bavarese che non camuffa l’identità cristiana. Sentirlo parlare senza complessi della sua crescita in parrocchia e della sua identità (“io sono cristiano e popolare”) dovrebbe suonare come una boccata d’aria buona anche per tanti cattolici italiani, forse impauriti dalla doppia offensiva, sovranista e populista.
Giovane come Weber è anche il presidente del Partito popolare spagnolo, Pablo Casado Blanco che con i suoi 37 anni ha preso il posto di Mariano Rajoy e guida l’opposizione al governo socialista di Madrid. Ancor più giovane, con i suoi 32 anni, è Sebastian Kurz, cancelliere austriaco e leader del partito popolare. Peraltro baciato dai sondaggi che danno il suo partito in crescita di oltre il 10%. Infine non si può non citare la delfina di Angela Merkel nelle cui mani lascerà il destino della Cdu: Annegret Kramp-Karrenbauer di anni ne ha 56, ma è una protagonista alla quale dovremo presto abituarci.
Dunque, politici giovani e nuovi che sono la prova del cambiamento del Partito popolare europeo che si prepara a una sfida decisiva per il destino dell’Europa. Un partito che, forte delle proprie radici e del proprio radicamento popolare, non ha paura di confrontarsi con le spinte più conservatrici che pure emergono nel Continente. Ma che soprattutto non ha paura di misurarsi con le forze sovraniste. Anzi, consapevole del fatto che la crisi delle compagini socialiste è destinata ad aggravarsi, sa di dover svolgere un ruolo fondamentale di mediazione con le realtà liberali e conservatrici, ma anche con quelle sovraniste meno aggressive per ricondurle dentro le migliori e virtuose dinamiche politiche europee.
Per paradosso, avere oggi una componente conservatrice importante nel Partito popolare europeo, svolge un ruolo di cuscinetto importantissimo nei confronti sia delle opinioni pubbliche europee più spaventate, ma anche nei riguardi delle forze sovraniste che possono essere ricondotte dentro una dialettica democratica che non metta in discussione il destino dell’Europa. Una sorta di costituzionalizzazione europea delle nuove forze che si fanno strada nel Continente.
Certamente quello di Helsinki, a detta di molti partecipanti e osservatori, è stato un congresso vero. Dove la politica (non i politicismi) era il cuore del confronto congressuale. Dove ci si è contati e dove si è votato, come è giusto che sia in un organismo che ha sposato il metodo democratico. Dove si è eletto il candidato alla guida della Commissione europea nella speranza che la sua fisionomia di “cristiano e popolare”, ma soprattutto la sua scelta dell’Europa come destino e futuro, siano apprezzate e sappiano raccogliere i consensi necessari. Certo, in una coalizione che forse avrà un più marcato profilo conservatore. Ma meglio conservatori e democratici in Europa che sovranisti alla Le Pen fuori dall’Europa.
Tutto questo dovrebbe indurre anche il mondo cattolico italiano a guardare con maggiore attenzione al Partito popolare europeo, pur negli evidenti limiti e nella mancanza di orizzonte che la gestione Junker ha manifestato. Il che vuol dire anche interrogarsi, nella specificità del panorama italiano, a chi rivolgere il proprio sguardo perché la dialettica positiva manifestata dal Partito popolare europeo possa essere adeguatamente apprezzata anche in Italia. Questo è un problema tanto più serio se si considera la diaspora del voto cattolico e il suo inevitabile slittamento verso le due forze sovraniste e populiste che oggi guidano il Paese.
Ne è cosciente, ad esempio, Carlo Costalli, presidente di Mcl (Movimento cristiano lavoratori) che ad Helsinki c’era, unico esponente del mondo cattolico italiano, in veste di invitato e osservatore: “Tanti pensano che il Partito popolare sia una forza politica vecchia e destinata a implodere su se stessa. Io, invece, a Helsinki ho visto in azione un partito che ha tanti giovani e che soprattutto costruisce e macina politica, confrontandosi con profondità e coraggio su tutti i temi più importanti dell’Europa politica e sociale. E soprattutto senza mai dimenticare le proprie radici cristiane, come ha rivendicato lo stesso Manfred Weber”.
Un partito, aggiungiamo noi, che potrebbe e forse dovrebbe tornare ad essere la casa naturale di tanti cattolici italiani. Forse anche ribaltando una narrazione, tutta italiana, tanto interessata quanto falsa: i popolari irrilevanti in Italia e in Europa. Ovviamente le cose non stanno così. Se oggi in Italia vi è la forza popolare più debole che ci sia in Europa, a causa anche della scelta del nostro Paese come laboratorio continentale della miscela sovranismo-populismo, nel resto del continente il popolarismo ha ancora un grandissimo peso. Ha nuovi leader, conquista il governo di tanti Paesi, sa giocare le sue partite quando è all’opposizione, sa attrarre forze diverse per governare anche in coalizione. Dunque, la partita europea è tutta da giocare. Ma per i cattolici, popolari e moderati, è forse anche l’occasione per viverla senza complessi d’inferiorità.