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Sì alla riforma, no all’abolizione. La prescrizione vista da Michele Vietti

È uno stallo messicano quello in corso fra Lega e Cinque Stelle. Da una parte la legittima difesa, oggi al voto in Parlamento all’interno del decreto sicurezza su cui il governo ha messo la questione di fiducia. Dall’altra c’è la riforma della prescrizione contenuta in un emendamento grillino e sbandierata dal Guardiasigilli Alfonso Bonafede. Nei piani pentastellati i termini per la prescrizione dovrebbero interrompersi dopo il primo grado di giudizio. Prima ancora delle opposizioni sono stati i leghisti a insorgere. Il ministro della Pa Giulia Bongiorno ha parlato di una “bomba” sui processi penali. Anche i più convinti sostenitori di una riforma della prescrizione, uno strumento che senz’altro è stato troppo abusato, non riescono a mandar giù la proposta di Bonafede. È di questa schiera Michele Vietti, già sottosegretario di Stato al Mef e alla Giustizia, vicepresidente del Csm dal 2010 al 2014. La prescrizione va rivista al più presto, ma “non si può lasciare l’imputato appeso all’infinito al suo processo” spiega a Formiche.net. Lega e Movimento devono venirsi incontro, dice l’avvocato piemontese, perché non si può fare una politica giudiziaria se prima non si risolve questo “conflitto d’identità”.

Sulla prescrizione sta con Bongiorno o Bonafede?

Posso permettermi di stare solo dalla mia parte (ride, ndr). Entrambi esprimono una preoccupazione condivisibile. L’una è quella di porre fine a questo effetto perverso della ghigliottina della prescrizione che sul più bello taglia la testa ai processi. Oltre all’effetto di denegata giustizia, anche per gli stessi imputati, ha un effetto di frustrazione del sistema. Per anni decine di persone lavorano per non produrre un risultato, dalla polizia giudiziaria che fa le indagini al Pm che prepara i capi di imputazione fino al Gip, il Gup, il giudice monocratico e la Corte d’Appello. Il prodotto, assemblato man mano nelle fasi precedenti, viene distrutto nell’ultimo stadio. In un sistema produttivo normale questa è considerata un’assurdità.

La Bongiorno prevede gravi conseguenze dell’emendamento grillino sul processo penale.

È anche questo incontestabile. Non si può lasciare l’imputato appeso all’infinito al suo processo. Se la riforma della prescrizione non viene accompagnata da un meccanismo che garantisca la certezza dei tempi anche dopo il primo grado, risolve solo un corno della questione, con il rischio di creare gravi anomalie del sistema.

Spostare la ghigliottina più in là, magari in Cassazione, è una soluzione?

In Cassazione è troppo tardi, a quel punto non serve più. Bisogna prevedere una scansione temporale dei processi e far rispettare queste scadenze. Limitarsi a promettere più risorse per la macchina giudiziaria dando per scontato che ne deriveranno processi più veloci mi sembra una finta soluzione.

Carlo Nordio propone di computare la prescrizione dall’apertura del fascicolo d’indagine.

Il problema non è tanto decidere il momento in cui va computata la prescrizione, quanto quello in cui viene sterilizzata. La riforma Orlando è stato un passo nella giusta direzione, anche se troppo timido. Così non si può andare avanti, l’ho detto sia quando ero al governo che nel Csm. La soluzione di Bonafede è zoppa, va affiancata con altre misure, ma spero comunque che questa sia la volta buona per metterci mano.

Un rapporto della Commissione Ue nel 2017 sostiene che “il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione”. È così?

I processi per corruzione finiscono spesso in prescrizione. Se uno mette in conto la prescrizione l’effetto deterrente della sanzione penale viene meno. In Italia c’è spesso un delirio di penalizzazione, una gigantesca ipocrisia collettiva per cui tutti sono pronti a contestare il reato di qualcun altro, ma alla fine dei conti si arriva con grande difficoltà alla condanna definitiva.

C’è un’incompatibilità di fondo sull’idea di giustizia di Lega e Cinque Stelle?

Il contratto di governo è molto vago sul tema della giustizia. Unisce dei richiami garantisti a richiami giustizialisti senza disegnare una chiara politica giudiziaria, che dovrebbe invece guidare l’azione di governo. Non è un caso che dalla legittima difesa alla prescrizione il conflitto fra le due forze si manifesta con forza. È molto difficile trovare un componimento fra due approcci, quello garantista e quello giustizialista, culturalmente alternativi. Prima di impostare una politica giudiziaria coerente è necessario risolvere questo conflitto di identità.

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