Addolcire la pillola il più possibile per provare a disinnescare la procedura di infrazione. Il meccanismo si è ormai messo in moto e l’unico modo per fermarlo è ridimensionare le misure che animano la manovra gialloverde (qui l’intervista di ieri a Maurizio Bernardo). La quale è già risultata indigesta ben due volte alla Commissione europea, che l’ha prontamente bocciata.
Adesso per Luigi Di Maio e Matteo Salvini, sotto la regia di Giovanni Tria, è tempo di rivedere il perimetro di due cardini del contratto, la quota 100 e il reddito di cittadinanza. Ridurne l’impatto vorrebbe dire essenzialmente due cose. Primo, la trattativa con l’Europa non è solo a chiacchiere ma c’è e si tocca. Secondo, il deficit al 2,2%, piuttosto che al 2,4%, diventa possibile dal momento in cui calano gli importi di due misure rispettivamente da 9 e 7 miliardi di euro. E così, il vertice di ieri sera a Palazzo Chigi tra Tria, Di Maio, Salvini e Conte, ha di fatto formalizzato il ridimensionamento finanziario del contratto di governo che, forse, alla fine costerà un po’ meno del previsto.
I primi colpi di accetta riguardano il reddito di cittadinanza. Il totem del Movimento cinque stelle, concepito come misura di contrasto alla povertà, potrebbe cambiare pelle o parte di essa. A dire la verità è già successo visto che inizialmente il reddito prevedeva un costo di 17 miliardi di euro, poi ridotti a 9 con l’ultima legge di Bilancio, con un depotenziamento non da poco. Adesso però c’è un’altra novità e cioè che la misura cara ai grillini potrebbe partire sì nel 2019 ma da aprile e dunque coprire un arco temporale di 9 mesi su 12. Riducendo l’erogazione a 9 mesi si risparmierebbero su per giù 2 miliardi di euro e prendendo a riferimento le famiglie in povertà assoluta in Italia (1,8 milioni, visto che il requisito per ottenere il sussidio sarà l’Isee, cioè l’indicatore della ricchezza familiare), si ottiene che ad ogni famiglia dovrebbero andare in media 4.444 euro all’anno, cioè 370 euro al mese su 12 mesi o 493 euro su 9 mesi, cifra differente dagli iniziali e più famosi 780 euro.
C’è di più. Il piano per la creazione di un reddito di cittadinanza a prova d’Europa (e di mercati) prevede anche il coinvolgimento delle imprese e questo per un obiettivo fin troppo chiaro. Ridurre la natura assistenziale della misura in favore di quella più industriale, cosa molto gradita alla stessa Europa, che ha sempre criticato la filosofia poco pro-crescita della manovra. Il governo ha previsto in questo senso appositi sgravi per quelle imprese disponibili ad assumere i beneficiari dello strumento. Si tratta di uno sgravio contributivo pari al reddito della persona che viene assunta. In pratica, all’imprenditore verrebbero riconosciute fino a tre mensilità di reddito che salgono a 6 se la persona assunta è una donna.
Altra partita è la quota 100 e qui si passa dalla sponda del Movimento a quella della Lega. Piccola premessa, il meccanismo di quota 100 resta identico e cioè si andrà in pensione a condizione di centrare il numero 100 tra età anagrafica e anni di contributi, ed avendo comunque almeno 62 anni. Potrebbe entrare in campo, ed ecco il paletto, però il divieto di cumulare l’assegno pensionistico con altri redditi (da attività professionali o collaborazioni saltuarie). Chi si ritirerà a 62 anni (nel 2019) dovrà sottostare al divieto di cumulo per 5 anni. Il limite dovrebbe contenere le uscite pensionistiche intorno a quota 250-270 mila nel 2019. Per limitare la spesa, inoltre, il pagamento della pensione avverrebbe con un ritardo di tre mesi (nel settore privato) e di sei mesi (nel pubblico) rispetto al momento in cui è maturato il diritto all’assegno.
Tanti piccoli stratagemmi che portano a una sola verità: la retromarcia c’è stata ma, si chiede l’economista Leonardo Becchetti, interpellato da Formiche.net, “basterà a evitare la procedura di infrazione? Io non credo, penso che l’Europa si fermerà solo ed esclusivamente quando ci sarà un vero e reale passo indietro da parte del governo italiano. Un passo che si può concretizzare solo una drastica riduzione del disavanzo, che mai potrà essere al 2,4%. Sarebbe stato molto meglio evitare lo scontro fin da subito, ci saremmo risparmiati sei mesi di spread al rialzo e tanti soldi pagati in interessi. Detto questo, credo che sul reddito di cittadinanza, messo agli atti il suo depotenziamento rispetto alla versione originale, sia un altro”.
E cioè? “Il fatto che si sia deciso di far partire il reddito di cittadinanza da aprile, è solo una mossa per evitare la guerra su quei decimali di cui si parla in questi giorni. La questione è un’altra: il reddito di cittadinanza è qualcosa che disincentiva a cercare lavoro. Qualcuno mi deve spiegare come è possibile dare per scontato che se io percepisco quei soldi ogni mese sono allo stesso modo incentivato a trovarmi un lavoro. Altra questione, il coinvolgimento delle imprese. Il governo punta a garantire sgravi a quelle imprese che si offrono di assumere chi percepisce il reddito di cittadinanza. Bene, ma chi controlla? Se per esempio qualcuno mi offre un lavoro in nero, vale lo stesso? Voglio dire, prima di studiare un meccanismo, sarebbe il caso di garantire i controlli sull’efficacia dello stesso”.
Becchetti interviene anche sul tema pensioni, se possibile ancora più delicato del primo. “Io ho seri dubbi che il prossimo anno una vasta platea di persone risponda all’anticipo della pensione. Pesa sicuramente la penalizzazione e cioè il fatto che se vado in pensione prima il mio assegno viene decurtato in una misura compresa tra il 5 e il 30%. Un forte effetto scoraggiamento. Poi c’è questa ipotesi del divieto di cumulare la pensione ad altre attività: un freno che potrebbe benissimo non servire proprio perché il vero freno è l’assegno ridotto”.