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Verde, repubblicano, antigrillino. Il Pd del futuro secondo Paolo Gentiloni

C’era tutta la dirigenza Pd schierata al Tempio di Adriano ad ascoltare Paolo Gentiloni per la presentazione del suo nuovo libro (il primo, ci tiene a specificare lui): “La sfida impopulista” (Rizzoli). Tutta, o quasi. Di Matteo Renzi neanche l’ombra. “La componente senatoriale è assente per votare il decreto Genova, e fa bene” glissa subito l’ex premier per deludere i maliziosi. Obbedienti a un’insolita disciplina di partito, i colonnelli del fu governo Gentiloni arrivano a piazza di Pietra quasi in fila indiana, e lasciano a bocca asciutta i cronisti. Il libro di per sé è già fin troppo critico sulla indefettibile passione per le scissioni e i battibecchi connaturata alla sinistra italiana, meglio evitare di confermare il cliché, almeno per una serata. C’è l’ex reggente Maurizio Martina, e con lui in prima fila Marco Minniti, Laura Boldrini, Pier Carlo Padoan. C’è il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, il nome caldo per il prossimo congresso. In seconda fila Beatrice Lorenzin scherza con Marianna Madia. Più in là si scorge Enzo Amendola, defilati il turco Andrea Orlando e Giuliano Poletti. Carlo Calenda arriva in ritardo, si infila nella folla con fare discreto, ad attenderlo in prima fila c’è l’amico Marco Bentivogli, il segretario dei metalmeccanici Cisl ormai divenuto, più per curiosità che per aspirazioni personali, una presenza fissa ai convegni dem. Non è sfuggito alla vista Guido Crosetto, il deputato di Fdi che gode di simpatie trasversali, “mi hanno invitato” risponde sorridendo con una scrollata di spalle a chi gli chiede conto.

Per radunare le truppe in vista del Congresso e battezzare la sua prima fatica letteraria Gentiloni ha scelto due giornalisti amici, ma non certo clementi, come Paolo Mieli e Maria Latella. Al suo fianco è seduto Walter Veltroni, il padre nobile dei dem sempre ascoltato dalla classe dirigente del Nazareno quando serve un esame di coscienza. E poi c’è padre Antonio Spadaro, il direttore de La Civiltà Cattolica, che offre una prospettiva ecclesiastica, squisitamente francescana del fenomeno populista: “Le migrazioni rischiano di essere il grimaldello per far saltare l’Europa” spiega il gesuita parafrasando il papa, “bisogna affrontare questo spaesamento con discernimento, senza mai tradire i valori di fondo dell’umanità”. La Chiesa deve restare guardinga, continua Spadaro, tanto più quando i populisti si fregiano dei simboli sacri. Lo fanno due guru del sovranismo europeo come “Steve Bannon e Alexandr Dugin, che usano le tradizioni antiliberali e antimoderniste come ponti ideologici fra cristianesimo e populismo”. E pensare che Bannon proprio a Roma è stato accolto a braccia aperte dal cattolicissimo Istituto Dignitatis Humanae, il collegio fondato da Benjamin Harnwell, persona certo non vicina alla sensibilità di Spadaro.

Chiusa la prima antifona, è il turno di Veltroni, che ha il duro compito di entrare a gamba tesa nell’attualità politica. “Insomma, cosa rompete a fare l’alleanza? Per mandare al governo il centrodestra? Davvero sareste disposti ad allearvi con i Cinque Stelle?” lo incalza Mieli con un’inaspettata verve. “Come può il Pd volere un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, che oggi vediamo impegnato subalternamente nel governo più di destra di sempre?” risponde secco Veltroni. Trovare i numeri non è un problema. Perché in fondo, fa notare il veterano dem, “la sinistra in Italia non è mai stata maggioranza elettorale. Abbiamo avuto due governi tecnici negli anni ’90, e ora quattro governi i cui presidenti sono stati eletti in parlamento”. C’è riuscito solo Romano Prodi (anche lui assente illustre a piazza di Pietra) nel 1996 e nel 2006, ammette Veltroni, ma più per gli errori del centrodestra che per meriti propri. Una soluzione c’è, dice l’ex leader dem, che già pregusta il tramonto dell’era gialloverde per “le tensioni prodromiche al governo”. “Il Pd è intasato da divisioni e litigi, dobbiamo lavorare a una coalizione, un ampio movimento democratico che riprenda l’elettorato di sinistra”. È la benedizione del padre fondatore al Fronte Repubblicano di Calenda? Presto per dirlo. Il format auspicato non è lontano. La piazza Castello delle madamin torinesi è la prova che apporre il marchio Pd ovunque non porta frutto: “se la manifestazione fosse stata organizzata dal partito non sarebbe finita così”.

Conclude Gentiloni, che invita a non seguire sullo stesso piano i populisti per non andare incontro a sconfitta certa. L’ex premier avanza a tentoni, immagina una nuova alleanza “a vocazione maggioritaria”, composta di “una sinistra riformista e moderata, radicale, ambientalista”. Il successo dei verdi in Baviera tenta non poco Gentiloni, che sembra confidare più che mai nella causa ecologista. Prima di congedare la folla del Tempio di Adriano, anche lui cala il sipario su una futura alleanza con i grilini: “Non c’è il nazionalpopulista buono e quello cattivo. Tra Lega e M5S c’è un’integrazione antropologica”.

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