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Salvini, Di Maio e il gioco del fifone. Il commento di Pasquino

Di Maio

No, nonostante un’accurata rilettura del Contratto di Governo non si è trovata traccia della condivisione del braccio teso a pugno chiuso del ministro Toninelli. Nel Contratto non sembra esistere neppure la minima presenza del condono di Ischia e meno che mai la ricostruzione del Ponte Morandi, ma, per dare un colpo anche alla botte di Salvini (dopo quello al cerchio di Di Maio), non ci stanno neppure gli inceneritori per ogni prefettura. Comunque, non saranno queste assenze e le relative differenze di opinione a mandare in crisi il governo giallo-verde.

Cominciamo con il mettere i puntini sulle molte “i” del contratto e dintorni. Salvini si è accaparrato due tematiche (in inglese si direbbe “issue ownership”, ma confesso di non sapere come tradurre “ceppa”) che gli italiani continuano a considerare le più importanti: l’immigrazione e la sicurezza, che, per di più, hanno una probabile lunga durata. Si è anche buttato allegramente, forse dovrei dire “coraggiosamente” contro la Commissione europea. Continua a sfuggirgli che i commissari non sono né burocrati né, principalmente, tecnocrati (e neanche banchieri), errore che condivide con le Cinque Stelle. Potremmo scusarlo, il Salvini, da europarlamentare molto latitante, non ha mai imparato che i commissari sono tutti uomini e donne con esperienze di governo ai vertici dei rispettivi Paesi, spesso dotati di competenze specialistiche. Non possiamo, invece, scusare le Cinque Stelle che, insomma, qualcosina potrebbero studiare e imparare.

“Italians first” è oramai il grido (l’ululato?) di Salvini fino alle elezioni dell’Europarlamento di fine maggio 2019. Le Cinque Stelle non sanno che pesce prendere, chiedo scusa, che posizione assumere nei confronti dell’Europa dove sono molti che ricordano il Di Maio vagante per rassicurare istituti di ricerche, autorevoli quotidiani e quant’altri delle buone intenzioni europeiste delle Cinque Stelle. Nel Contratto di Governo non stanno né l’uscita dall’Euro né quella dall’Unione. Per di più, la Brexit sta offrendo una serie di lezioni, politiche e economiche, su quanto alto possa essere il costo dell’uscita, anche sulla società e la sua coesione. Ma se le Cinque Stelle non riescono ad impadronirsi in maniera credibile della “questione Europa”, sulla quale i due ministri, non posso trattenermi, “non eletti” da nessuno: Tria e Conte, ma vicinissimi alle Cinque Stelle non riescono a elaborare nessuna linea, che cosa rimane loro? Il reddito di cittadinanza e quota cento (pericolosamente vicina per quei pochi italiani che ricordano la storia, quindi non elettori penta stellati all’infausta quota novanta di Mussolini, Benito) per le pensioni.

Né l’uno né l’altra piacciono agli europei. Sembra che non piacciano, lo dirò con parole antiche, neppure ai ceti produttivi del Nord (dall’Honduras Di Battista agita una abbronzata risposta rivoluzionaria: “Se ne faranno una ragione”. Soprattutto, però, non hanno nessuna possibilità di produrre dividendi né economici né politici in tempi brevi. Nel frattempo, il Salvini ruspante (quello delle ruspe) sta avvicinandosi al raddoppio dei suoi consensi, almeno stando ai sondaggi (che, personalmente, ritengo credibili poiché ho fiducia nella professionalità sia di Nando Pagnoncelli sia di Ilvo Diamanti). Pertanto, non ha nessuna intenzione di fare cadere il governo, il luogo migliore per continuare le sue esibizioni muscolari e la sua crescita di apprezzamenti.

Se li risolvano le Cinque Stelle i problemi dei dissenzienti e quelli dei rimpasti (incidentalmente, tutto normale non solo nella Prima Repubblica, ma in tutte le democrazie parlamentari, come non cessa di insegnare Westminster, la madre di tutti i parlamenti). Loro non si faranno fermare. Tireranno diritto. Anche l’Unione europea tirerà diritto. Si chiama “chicken game”, gioco del fifone, reso famoso da James Dean in “Gioventù bruciata”. Il prezzo lo pagheranno, first, the Italians.


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