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Sanzioni all’Iran, l’Italia è salva?

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Il Corriere della Sera ha un’informazione piuttosto importante: l’Italia sarà uno dei paesi esclusi dall’applicazione di multe collegate alla reintroduzione delle sanzioni americane all’Iran, che in questa seconda e definitiva tranche riguardano soprattutto il settore finanziario e dell’energia, petrolio e gas naturale. Il Corsera è l’unico dei media italiani a sbilanciarsi, attraverso sue fonti diplomatiche e segue notizie analoghe diffuse anche da Associated Press e Bloomberg: gli altri sono più prudenti.

La faccenda è interessante perché l’Italia è il principale partner commerciale dell’Iran tra i paesi europei, con il 24,3% della torta, come dimostrano i dati Eurostat elaborati dall’Ispi – e a Capitol Hill è stata approvata una legge, il CAATSA, che dà alla Casa Bianca la facoltà di punire compagnie o banche straniere che fanno affari in alcuni settori di un certo paese, nel caso l’Iran, con multe o altre restrizioni alle attività negli Stati Uniti di queste società.

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Da ieri, quando il presidente americano Donald Trump ha annunciato al mondo il ritorno al regime strettissimo di tre anni fa con il nuovo round di sanzioni contro Teheran (lo ha fatto su Twitter, con un suo fotomontaggio che riprende il poster di lancio della serie “Il Trono di Spade”, roba che resterà negli annali della comunicazione politica), la domanda centrale è: cosa succederà adesso? E tutto l’interesse sta nelle linee d’affari ancora aperte con l’Iran, soprattutto nell’ambito petrolifero, e su questi derogati, otto, cosiddetti  “waivers“.

Un sistema di esenzione che serve a mantenere buoni rapporti con gli alleati americani e allo stesso tempo evita che il blocco secco e immediato di tutte le esportazioni di petrolio dall’Iran possa comportare un aumento di domanda e far schizzare il prezzo – Trump vuole evitare aumenti del prezzo del petrolio anche per non scomodare gli elettori alla vigilia delle Midterms.

Quando Brian Hook, rappresentante speciale per l’Iran e top funzionario del dipartimento di Stato, è andato davanti ai microfoni poco dopo il tweet di Trump e l’annuncio dei segretari Mike Pompeo (Esteri) e Steve Mnuchin (Tesoro), la prima richiesta che i giornalisti gli hanno posto è stata: “Quali sono gli otto paesi?”. Ossia, chi non sarà colpito dalle sanzioni secondarie americane per fare affari con l’Iran?

Pompeo, facendo riferimento al business degli idrocarburi, ha detto che Washington ha pensato a un periodo di deroga per le aziende di queste nazioni, alle quali concedere altri sei mesi per organizzarsi prima di sospendere del tutto – “portare a zero” – i rapporti con l’Iran.

Quali siano questi paesi, per il momento non è ufficiale, Hook ha risposto soltanto “Monday, Monday“, lo sveleremo pubblicamente lunedì. Però poi, più avanti nella conferenza stampa, quando un giornalista ha parlato della possibilità che quelle nazioni fossero Italia, Turchia, Corea del Sud, India, perché erano coloro che stavano già lavorando per tirarsi fuori dal business in Iran, Hook ha detto: “Penso che ti sei dato la risposta da solo” (Giappone, Spagna e Grecia, sarebbero gli altri secondo fonti che non è possibile confermare, mentre la Cina è ancora in trattativa col Tesoro: va da sé che molto dell’interesse riguarda le relazioni internazionale americane, ossia, a chi Trump dà spazi e fiducia, tra alleati, concorrenti, amici e rivali).

L’Unione Europea ha già messo in moto strumenti politici difensivi: ad agosto è passato l’aggiornamento del Regolamento di blocco (Regolamento 2271/96), che impedisce ai soggetti europei di adeguarsi alle sanzioni secondarie statunitensi, e l’estensione del mandato della Banca europea per gli investimenti (Bei), alla quale è stato affidato il potere di dare garanzie sulle attività finanziarie con l’Iran, in modo da sostenere gli investimenti europei. A settembre è stato annunciato lo “Special Purpose Vehicle” (Spv), un meccanismo legale in grado di supportare e processare i pagamenti da e verso l’Iran, senza esporre le aziende europee al rischio delle ripercussioni statunitensi. Ma Spv, che includerà anche Cina e Russia nel sistema: Spv è in corso di perfezionamento, e potrà essere operativo non prima di fine anno.

Secondo un’analisi dell’Ispi, tuttavia, si tratta di mosse più che altro politiche che dovranno confrontarsi con l’intransigenza americana. Lo scenario che per il think tank italiano è al momento più probabile è quello di una “continuazione delle attività delle piccole-medie imprese, ma di uno stop delle grandi compagnie, ovvero quegli attori che avrebbero potuto dare nuova linfa alla stremata economia iraniana”.

Congelare il programma atomico militare di Teheran era stata considerata la priorità strategica dell’amministrazione Obama, che attraverso un meccanismo composto dai cinque paesi membri del Consiglio di Sicurezza della Nazioni, più la Germania in rappresentanza europea, aveva creato l’impalcatura multilaterale per portare al tavolo gli ayatollah e chiudere l’accordo che in acronimo tecnico viene definito Jcpoa, e che comunemente è conosciuto come l’accordo sul nucleare iraniano (operazione compiuta non senza alterare le relazioni con gli alleati storici statunitensi nella regione: Israele e Arabia Saudita, nemici esistenziali dell’Iran, che non volevano l’accordo).

Uno dei più grossi passaggi del presidente Trump in politica estera, finora, è stato invece in senso opposto: a maggio la Casa Bianca ha ufficialmente ritirato gli Stati Uniti dal Jcpoa e aveva già annunciato che dagli inizi di novembre tutte le sanzioni contro la Repubblica islamica sarebbero rientrate in vigore – decisione che aveva creato scossoni soprattutto in Europa, da cui diverse aziende avevano ripreso la via del business con l’Iran.

La mossa americana riguarda due linee di comportamento scorretto di Teheran: primo, secondo Washington (e secondo Tel Aviv) gli iraniani stanno mantenendo in vita il nucleare militare attraverso programmi clandestini che riguardano anche i missili balistici; secondo, gli ayatollah stanno diffondendo un’agenda velenosa, fatta di ingerenze e infiltrazioni nel tessuto politico-sociale di diversi stati mediorientali per poter aumentare la propria influenza regionale (una realtà detestata da Riad e Tel Aviv).

Il segretario di Stato americano ha annunciato che se Teheran vorrà riqualificarsi, dovrà sottostare a 12 richieste esplicite: tra queste, bloccare i lavori sui vettori balistici, ritirarsi dalla Siria, fermare il finanziamento di gruppi terroristici (molti dei partiti-milizia che l’Iran finanzia, attraverso cui poi ottiene come ritorno la possibilità di diffondere la propria presenza nel Medio Oriente, sono considerati gruppi terroristici da Stati Uniti e Unione Europea: è il caso di Hezbollah in Libano, varie milizie politiche in Iraq e Siria, corpuscoli afghani e anche il collegamento più sfumato con i ribelli yemeniti Houthi).

 

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