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Perché nelle strategie Ue per la sicurezza l’Operazione Sophia va prorogata

70 anni, Sicurezza

Il 19 e 20 novembre a Bruxelles ci sarà una riunione dei ministri della Difesa e degli Esteri sulla cooperazione dell’Unione europea in materia di sicurezza e difesa. Nell’ordine del giorno sono comprese tra l’altro la cooperazione strutturata permanente (Pesco), la revisione annuale coordinata sulla difesa (Card), il Fondo europeo per la difesa e la mobilità militare e saranno valutate le missioni militari e civili dell’Unione, oltre ai rapporti con la Nato.

Una missione al centro dell’attenzione nei mesi scorsi è stata Eunavfor Med, Operazione Sophia, che nacque nel maggio 2015 per intercettare e distruggere il maggior numero di mezzi utilizzati dai trafficanti di esseri umani, che nel giugno 2016 ottenne un’estensione del mandato all’addestramento della Guardia costiera e della Marina libica e al rispetto dell’embargo di armi in base alle risoluzioni Onu e che dal luglio 2017 si occupa anche di raccogliere informazioni sul traffico di petrolio dalla Libia. Il mandato di Sophia scadrà il 31 dicembre e l’eventuale proroga con un’estensione altrettanto eventuale del mandato sarà una scelta puramente politica di cui si sta discutendo.

Pur non essendo il principale obiettivo della missione, è stato spiegato più volte che salvare persone in difficoltà in mare è obbligatorio e Sophia in circa tre anni e mezzo ha salvato 44.916 migranti, pari ad appena il 9 per cento del totale. Nei mesi scorsi non sono mancate polemiche e, nella dura contrapposizione tra il governo e l’Ue che certamente non ci aiuta sul fronte dell’immigrazione, l’Italia ha minacciato di uscire dalla missione che pure è comandata da un italiano, l’ammiraglio di Divisione Enrico Credendino. Con il crollo delle partenze dalla Libia, a maggior ragione Sophia sta continuando a operare sul fronte della sicurezza ed è quella che i tecnici chiamano Mso, Maritime Security Operation. La missione, che da qualche mese ha attivato una cellula informativa, potrebbe avere un ruolo anche più incisivo se, anziché limitarsi all’intelligence, si consentisse di salire a bordo delle navi che fanno contrabbando di petrolio dalla Libia così com’è consentito per quelle che trafficano armi, tre delle quali sono state bloccate.

Sta continuando inoltre l’addestramento dei libici. Finora sono stati formati 238 militari della Marina e della Guardia costiera e altri due “moduli” sono in corso. Uno di 66 unità è cominciato l’8 ottobre alla Maddalena e si concluderà il 30 novembre, destinato a chi dovrà utilizzare motovedette; l’altro, di una decina di unità, si svolge in Croazia e riguarda i subacquei. Nei prossimi mesi sapremo se in Libia si arriverà a elezioni condivise e se la conferenza di Palermo avrà prodotto risultati, nel frattempo non c’è dubbio che il controllo del Mediterraneo (nel quale operano anche altre missioni) sarà sempre fondamentale. Le minacce dell’estate scorsa avevano ragion d’essere all’interno di un dibattito infuocato, ma ora che si dovranno assumere decisioni definitive sarebbe un errore non prorogare la missione mantenendo all’Italia un ruolo di vertice.



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