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La Siria, i pacifisti e il collasso della democrazia liberale

Siria, assad

Era il 24 agosto 2018 quando l’ex presidente Carter scriveva un articolo sul New York Times: “In Siria, una brutta pace è meglio della prosecuzione della guerra”. L’ex consigliere dell’amministrazione Obama dimessosi dall’incarico nel 2012, l’ambasciatore Frederic Hof, l’ha analizzata, trovandola una base che potrebbe certamente essere gradita al regime. Il punto è molto importante perché con un processo di astrazione dalla realtà, classica dei pacifisti e di certi ambienti che hanno determinato il collasso della democrazia liberale, Carter condanna la prosecuzione del conflitto affidando a un regime criminale il processo di pacificazione e ricostruzione non solo materiale, che così massimizzerebbe i guadagni della sua condotta criminale con una legittimazione internazionale.siria_cristiano

Tra le premesse astratte di Carter c’è ovviamente l’idea di un impegno di Damasco per riconoscere l’autonomia ai curdi, impegno che Damasco certamente assumerebbe e mai rispetterebbe, rendendo così le democrazie liberali promotrici l’intesa anche corree di una destabilizzazione delle aree del nord della Siria liberate dall’Isis. Hof, che non ha avuto fortuna alla Casa Bianca e purtroppo si capisce perché, osserva che per Carter “il governo siriano deve accettare le inevitabili riforme e mettere in atto misure tali da creare fiducia, come il rilascio dei prigionieri e la punizione dei responsabili del loro trattamento”.

Questa domanda viene commentata così: “Sarebbe come chiedere a un pescecane di diventare vegano. Chiedere il riconoscimento del principio di responsabilità per le torture e gli eccidi indiscriminati significherebbe chiedere ad Assad di presentarsi all’Aja per essere processato”. Ma Hof centra anche l’ipocrisia del testo firmato dall’ex presidente Carter quando parla di immense violazioni dei diritti umani senza mai specificare da parte di chi. E’ proibito riconoscere che sono state compiute in grandissima parte da Assad? Ma Hof va oltre e sottolinea che il testo non richiede la persecuzione dei colpevoli come precondizione per ristabilire relazioni diplomatiche con un regime comunque criminale, affermando: “I paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, possono ricominciare riaprendo le loro ambasciate in Siria, dato che l’assenza di ambasciatori occidentali da Damasco ha condotto a tante opportunità perse.”

Per fortuna Carter non ci spiega quali siano queste opportunità che avremmo perso. Ma se questo significasse aver perso possibilità di coordinamento contro l’Isis entreremmo nello specifico di quanto scritto in precedenza, e l’ambasciatore Hof non ci gira intorno neanche nella sua risposta a Jimmy Carter: “Dall’inizio la politica di Assad è stata quella di promuovere reazione estremiste al suo malgoverno in modo da screditare l’opposizione. Il rapporto con l’Isis è stato quello di un reciproco vivi e lascia e vivere”.

Ovviamente Carter nel suo articolo non poteva che richiamarsi anche al mantra della rinuncia alla politica del “cambio di regime”, il citato regime change. La condanna della politica del cambio di regime è uno dei titoli preferiti dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, dagli antagonisti, dai “pacifisti”, ma solo se si tratta di criticare Washington, mai Mosca, basti pensare al cambio di regime perseguito da Putin a Kiev: ci voleva Hof per ricordare a Jimmy Carter e ai suoi che la politica del cambio di regime in Siria è stata abbandonata da subito, dai tempi in cui Kofi Annan, il 30 giugno del 2012, ottenne il consenso a Ginevra per lavorare a una transizione negoziata. Quello che non si è capito dell’enormità dell’espulsione nel 2012 dalla Siria di padre Paolo Dall’Oglio è proprio questo: il governo l’aveva chiesta per le sue posizioni critiche e visto che effettivamente le leggi siriane non autorizzavano la libertà di espressione lui nel 2011 fece retromarcia, accettò e tacque. Ma poi, con l’accettazione del piano Annan e della libertà di espressione, tornò a parlare e venne espulso. Perché, come afferma Hof, il regime sa accettare sulla carta ciò che non accetta neanche per un’ora nella realtà. Ma ciò nonostante si è continuato a parlare di politica del regime change e non si è visto il tradimento degli impegno assunti, che non comportavano alcun cambio di regime.

Per questo le lettere di Yassin al Haj Saleh aiutano a capire la moderazione e il realismo dell’ambasciatore Hof quando scrive: “La scelta più umana, politicamente sensibile dell’Occidente e dei suoi partner sarebbe questa: 1) stabilizzare il nord della Siria in base alla dottrina del post-combattimento, lavorando con gli arabi e i curdi del territorio per creare un governo civile alternativo a quello criminale e cleptocratico: 2) prevenire – anche con una limitata presenza militare ove necessario – massacri di civili nel nord della Siria. L’Iran – mai citato nel saggio di Jimmy Carter – può fornire sostengo finanziario a breve ai suoi clienti, come può fare la Russia. Questo non è un lavoro per chi paga le tasse in Occidente. C’è una via migliore in Siria per l’Occidente di questa? Forse sì. Ma se fosse quella indicata dal Presidente Carter, allora cominciamo dal rilascio dei prigionieri, dal pieno cessate il fuoco e – in omaggio al piano Annan – da un vero negoziato di transizione politica a Ginevra e dallo sviluppo di una forza internazionale per la protezione dei civili e l’interposizione tra i combattenti. Nessuno eccepirà che una bruttissima pace sia meglio della prosecuzione della guerra, ma investire risorse enormi e legittimità internazionale su un regime che contraddice sui diritti umani tutto ciò per cui si è impegnato il Presidente Carter prolungherebbe l’agonia siriana a spese di chi paga le tasse in Occidente. Proporlo subito dopo la scomparsa di Kofi Annan è deplorevole”.

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