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Viaggio nel genocidio yazida raccontato da Düzen Tekkal

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“Non solo giornalisti ma una società coraggiosa” che affronta concretamente la disastrosa situazione in cui, ancora oggi, versa il popolo yazida. Queste le parole di Düzen Tekkal, giornalista, autrice di bestseller, regista, attivista per i diritti umani e presidente dell’Ong Hawar.help, arrivata a Roma per partecipare alla tavola rotonda organizzata dalla Fondazione Adenauer a Roma. Con il suo documentario dal titolo “Hawar, il mio viaggio nel genocidio” Tekkal ha scavato nella piaga degli yazidi, emarginati e discriminati dalla storia recente e letteralmente decimati dalle violenze dell’Isis a partire dall’agosto del 2014.

Un percorso di sofferenza, quello degli yazidi, che mischiato con la forza dell’emancipazione e della resistenza pacifica, ha portato anche alla consegna dell’ultimo Nobel per la pace ad una delle donne simbolo di questa pagina dolorosa: Nadia Murad.

Dalla storia personale, che la vede legata per discendenza, cultura e tradizione alla minoranza curda stanziata principalmente a nord dell’Iraq, Siria, Turchia meridionale e Caucaso, Tekkal, pur essendo nata e cresciuta nella vicina Germania, ha condiviso la sofferenza della sua gente, impegnandosi soprattutto nell’informazione condivisa delle condizioni di questo popolo. “Abbiamo dimenticato la cultura dell’accoglienza. Siamo stati troppo ingenui su questo tema e ora dobbiamo porci il problema su come comunicare questa situazione alla popolazione europea”.

E se una delle priorità resta proprio la formazione dell’opinione pubblica, allo stesso tempo, secondo l’attivista, “sicurezza, frontiere esterne europee e un contingente speciale di supporto per le ragazze yazide”, vittime dal 2014 di violenze, rapimenti e riduzione schiavitù da parte dello Stato Islamico, restano a fondamento di una possibile soluzione a lungo raggio. Senza dimenticare che proprio “i principi e valori europei devono essere difesi anche a Mosoul e Baghdad. Non dobbiamo pensare che questi non ci interessino”, ha aggiunto Tekkal.

Inoltre, l’attivista, nel corso della discussione ha messo in evidenza un altro elemento fondamentale nella storia del genocidio yazida: l’assenza di azioni penali per colpire i responsabili. “Un’indifferenza internazionale da stigmatizzare”, ha sottolineato Tekkal. Che, secondo una considerazione oggettiva, potrebbe essere superata solo attraverso una sollecitazione nei confronti dell’Iraq a diventare membro della Corte penale internazionale, così da poter consentire l’eventuale perseguimento di reati come crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Le agenzie umanitarie locali e internazionali che lavorano nel Kurdistan iracheno, inoltre, tra cui le agenzie delle Nazioni Unite, dovrebbero aumentare i servizi medici e di consulenza per gli sfollati sfuggiti allo Stato Islamico. La necessità impellente di intervenire legalmente per punire i responsabili rimane l’unica strada percorribile per avere giustizia.

Una sfida, quella di coinvolgere e sensibilizzare in maniera attiva i cittadini europei, che comprende, e non marginalmente il concetto di identità. Nel corso della tavola rotonda, insieme alla storia del popolo yazida e al lungo percorso di integrazione e comprensione profonda di una cultura poco conosciuta che nel corso degli anni si è scontrata con l’arroganza degli estremismi, si è parlato anche di migrazioni più in generale. E di come l’Europa continua ad approcciarsi all’argomento. “Per integrare i migranti non basta il lavoro”, ha sottolineato Tekkel. Aggiungendo poi, come comunque “un patriottismo sano e costituzionale in risposta ad un patriottismo stupido e inutile”, resti un pilastro importante della nostra società.

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