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Infrastrutture. Che cosa il sud può imparare dal nord

autonomia differenziata, Sud Mezzogiorno, federalismo

Come ha scritto ieri la Stampa di Torino “Il partito del Pil si mobilita”, alludendo alla grande manifestazione di Confindustria a Torino del prossimo 3 dicembre – che chiamerà a raccolta non solo gli associati del nord, ma anche delegazioni di altre parti d’Italia – all’incontro dei presidenti di Liguria e Piemonte Toti e Chiamparino – i quali difendono con forza le opere strategiche già previste che interessano le due regioni (Terzo valico e Tav), mentre anche la Confartigianato ha in corso una vasta mobilitazione sempre in province dell’Italia settentrionale per sottolineare la necessità che il governo difenda concretamente le ragioni dello sviluppo nella prossima legge di Bilancio.

Il mondo dell’imprenditoria del nord, dunque – sulla scia dell’imponente adunata pro Tav delle scorse settimane a Piazza San Carlo nel capoluogo piemontese – scende in campo perché il Paese veda realizzati i grandi programmi di investimenti in infrastrutture già previsti dai precedenti governi e si sbarri la strada ad ogni deriva regressiva e stagnazionista che settori dell’attuale governo gialloverde con le loro scelte finirebbero con l’imprimere all’Italia, ad onta di ogni loro affermazione sulla volontà di far crescere il Pil nel prossimo anno.

Mentre i ceti produttivi dell’Italia del nord e le loro maggiori associazioni di categoria si mobilitano – insieme alle manifestazioni spontanee promosse da dinamiche figure professionali della società civile – continua invece l’assordante silenzio dei sindacati confederali che, in materia di politiche infrastrutturali, al momento non sembrano andare al di là di generiche indicazioni sulla necessità di non fermare quelle già partite per non creare problemi occupazionali sui cantieri in attività. Un’indicazione apprezzabile, questa, quanto peraltro doverosa per dirigenti sindacali, ma ancora lontana, a nostro avviso, da una precisa indicazione di quali grandi infrastrutture privilegiare in una fase di riavvio o prosecuzione della loro realizzazione, in quali aree del Paese e con quale risparmio di risorse, peraltro già avviato dall’ex ministro Delrio la cui spending review aveva consentito di individuare per una serie di grandi opere significativi risparmi, a parità delle prestazioni di servizio delle opere medesime.

Massicci programmi di interventi ferroviari, stradali, portuali e aeroportuali sono già stati definiti da parte dei soggetti attuatori, sono stati approvati dal Cipe ormai da tempo, alcuni sono in corso di attuazione, mentre per altri sono previsti  stanziamenti rilevanti, ma al momento i sindacati confederali non hanno preso posizioni ufficiali definendo quelle che ritengono debbano essere per loro le priorità.

Ma non sono solo i sindacati confederali ad essere assenti per il momento rispetto alla mobilitazione del nord. Anche le Regioni del Mezzogiorno – pure impegnate nell’impiego dei fondi comunitari del ciclo 2014-2020 e con alcuni casi di eccellenza nella loro spesa come la Puglia – non sembrano aver messo a punto scale di priorità da proporre al governo per determinati interventi infrastrutturali interregionali, mentre anche la società civile non ha ancora dato luogo a manifestazioni come quella delle “Madamin” a Torino.

Nei prossimi mesi com’è noto si voterà in Basilicata, Sardegna e Abruzzo per il rinnovo dei consigli regionali, e anche in città come Bari per il nuovo consiglio comunale; e queste scadenze, insieme a quelle congressuali del Pd e alle elezioni europee, sembrano monopolizzare le attenzioni dei gruppi dirigenti delle maggiori forze politiche, mentre la business community del sud non sembra avere ancora una reattività alle incipienti difficoltà economiche del Paese simile a quella delle comunità imprenditoriali del nord. Ci si meraviglia allora di un persistente distacco fra le regioni settentrionali e quelle del Mezzogiorno?

 


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