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I termovalorizzatori in Italia, i gilet gialli in Francia e il consenso popolare

rifiuti, infrastrutture

L’ultimo terreno di scontro tra i due vice presidenti del consiglio Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono i termovalorizzatori. E mentre i leader nostrani se le danno (metaforicamente) di santa ragione – a giorni alterni, negli altri dichiarano grandi unità di intenti – in Francia esplode la protesta dei gilet gialli. La causa: apparentemente il rincaro del gasolio, una “tassa ecologica” destinata a ridurre gli effetti del cambiamento climatico, vista però come un balzello elitario e nemico delle esigenze di mobilità (a basso costo) del popolo francese. Il cambiamento climatico? Tema sullo sfondo, appena pervenuto.

Benvenuti nell’era del dissenso tout court. Termovalorizzatori, Tav ma anche Tap, e perché no pure i gilet gialli. Facciamo ordine, e parliamo di casa nostra.

Le forze di governo Lega e 5 Stelle rispondono a elettorati molto simili tra loro. E tutto lascia supporre si sentano ancora in piena campagna elettorale, almeno fino alle europee: i provvedimenti, ma ancora prima parole e messaggi sono senza dubbio plasmati sulla (presunta) volontà dell’elettorato.

Semplifichiamo. Lega: immigrazione e sicurezza. M5S: rivalsa e rivincita sul potere pregresso, democrazia dal basso, uno vale uno, decrescita felice, e via di questo passo. Dunque, ogni iniziativa industriale, infrastrutturale e grande opera è non solo vista con sospetto, ma apertamente contrastata. Innanzitutto per una lettura semplificata della contemporaneità, ma soprattutto – e questo è grave va detto – a causa di un’eterna campagna elettorale che mira al mantenimento del consenso più che alla soluzione delle faccende. Panacea ingannevole, doppiamente odiosa per questo. La Lega, grazie alle precedenti esperienze di governo, soprattutto territoriale, si discosta da ciò, e da qui le dichiarazioni pro impianti di Salvini.

L’Italia è in deficit impiantistico, basti ricordare la gestione irrazionale dei rifiuti di alcune Regioni: migliaia di camion che attraversano la penisola (a proposito di gasolio e inquinamento) per portare rifiuti da sud a nord. Mentre imperversano le proteste contro utilissimi impianti quali i biodigestori, per produrre compost di qualità e biometano. Opere, termovalorizzatori, infrastrutture, ma anche impianti per l’energia rinnovabile: un grande Nimby globale blocca, osteggia e mortifica ogni iniziativa. Come siamo arrivati a questa deriva anti-industrialista? Come Nimby Forum lo diciamo da anni: è un problema di comunicazione. E chi dice che la comunicazione sia un corollario, si accomodi in un’altra epoca. Di più: è un problema culturale e sociale. Non entriamo nel merito per un momento nel dibattito tecnologico e impiantistico, e vediamo il piano comunicativo. Oggi in Italia (ma è un problema globale) chi detiene le competenze, il sapere tecnico, e soprattutto la capacità progettuale, non ha alcuna presa popolare. Imprese, esperti, università, organizzazioni, comunità scientifica sono visti con sospetto, come minimo, in un lettura semplificata propria di molti analfabeti funzionali. Queste informazioni, questi dati, rimbalzano tra social network e fanno presa. Nella neolingua di questa era la parola “multinazionale” diventa dunque di per sé negativa. E così “politica”, decretando il successo di quella politica che prospera praticando l’anti-politica.

Viviamo onlife nell’infosfera, le felici definizioni del prof. Luciano Floridi: un ambiente unico che somma digitale e fisico, dove “virtuale” e “reale” non hanno soluzione di continuità. Un ambiente che conosciamo ancora poco, tutto da esplorare, e dove nell’arco di poco tempo si sono sovvertite le regole dell’informazione. Dove regna l’illusione che davvero uno valga uno, ma anche dove un influencer capace ottiene più consenso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sono molte le ragioni di tutto questo. Tra le principali: la colpevole distanza delle classi dirigenti dalle istanze popolari di questi anni. Che si è tradotta in assenza dalla parte digitale dell’onlife, la rete, dove dissenso e disagio erano e sono facilmente rintracciabili.

Per costruire le basi di convivenza del futuro è necessario un impegno, e una presenza, del tutto differente. È una battaglia culturale, prima che politica. Dove possiamo imparare molto dalle nuove generazioni, millennials nati e cresciuti nell’infosfera. Capaci, per esempio, di promuovere efficacemente grandi temi come l’empowerment femminile con il profilo instagram Freeda, seguito da più di 800mila persone. Mentre spiccano invece la povertà e il dialogo onanistico che si riscontrano nei profili social di grandi gruppi. Gruppi che gestiscono infrastrutture da molti miliardi di euro.

Togliere il terreno da sotto i piedi al populismo è una responsabilità di tutti, per assistere finalmente a dibattiti informati, che permettano azioni politiche volte al bene comune, oltre il consenso di breve termine. È la base per nuove relazioni positive nella comunità, oltre le paure, il dissenso facile e l’incomprensione.


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