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Tre considerazioni sull’Ici non versata dalla Chiesa

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Ci sono alcuni chiarimenti sull’importante sentenza della Corte di Giustizia europea in merito al pagamento dell’Ici da cui alcuni enti tra cui la Chiesa cattolica furono esentati dal governo Berlusconi che vanno chiariti. Innanzitutto chi era esentato: erano esentati tutti gli enti no profit, e quindi tutti costoro devono pagare. Devono pagare per l’arco di tempo che va dal giorno in cui  quell’esenzione venne introdotta fino a quando il governo Monti abolì l’Ici e le relative esenzioni introducendo l’Imu e regolando in modo molto più chiaro e confermato dalla sentenza europea le esenzioni. Queste ultime furono confermate per le attività, possiamo dire riassumendo, di culto, pastorali e caritative. Queste ultime esenzioni divengono di particolare rilievo oggi, che le attività caritative, come i centri di ascolto per migranti o asilanti, le mense o le scuole di italiano per stranieri non sono più un bene di facile reperimento sul mercato. Con l’Imu, ad esempio, non sono più esentate  le strutture ricreative che ricordano molto da vicino veri e propri alberghi.

Resta il fatto che tutto il mondo no profit è colpito da un provvedimento che richiede di calcolare cosa nel periodo pre-Monti fosse attività di lucro e quanto fosse il gettito dovuto. Ritenuto difficilmente calcolabile dallo Stato italiano e dalla precedenza sentenza europea oggi deve essere calcolato e occorre una nuova legge per poterlo fare, dal momento che che al tempo si prevedeva l’esenzione.

Ma i motivi per cui occorre restare su questa decisione sono tre. Il primo riguarda i destinatari del ricalcolo. Tutto il mondo no profit ne è destinatario. E questo è importante saperlo, perché è sbagliato ritenere che sia solo Chiesa cattolica.  Il ricorso non è stato accolto per le esenzioni previste dal governo Monti: la sentenza parla di aiuto improprio dato dallo Stato a un’attività che ne danneggiava un’altra. E questo lo si capisce per una attività sanitaria, ricreativa o scolastica aperta a tutti, più difficilmente lo si può immaginare per un’attività caritativa. E oggi ancor più di ieri, certamente, ma anche ieri non è che fosse chiarissimo. Si può immaginare oggetto di discussione se un’attività caritativa sia realmente tale, ma non che un’attività caritativa meriti un’esenzione Ici o Imu.

L’ultimo punto per cui tutto questo merita attenzione ancora oggi è l’entità del gettito che ci si può immaginare: esclusi i luoghi di culto, gli oratori, le parrocchie, i centri assistenziali, le strutture caritative, possibile che il computo arrivi, solo per la Chiesa, agli ipotizzati 4 o 5 miliardi di euro?  Di voci ne circolano tante, anche che al tempo dell’introduzione dell’Imu si cercò un calcolo e che questo sarebbe stato nell’ordine di un centinaio di milioni va considerato e ponderato per capire di cosa parliamo. La differenza appare enorme, forse la verità starà all’interno della forbice, sarebbe interessante però capire come sia possibile che questa forbice sia così larga.  Infine c’è il criterio a interessare. Quello stabilito dal governo Monti appare logico, nell’interessa di uno stato laico e di una società solidale. Il ricorso andrebbe spiegato anche per questa parte: davvero si discutevano anche le esenzioni previste dal governo Monti? A quale idea di Stato e di società corrispondeva ricorrere non solo contro le disposizioni “larghe” di esenzione predisposte dal governo Berlusconi, ma anche contro quelle del governo Monti? Chiarire questo, oggi, sarebbe molto importante. Anche considerando i termini odierni del confronto.

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