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Trump sta con l’Arabia Saudita, nonostante il caso Khashoggi

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ieri ha dato una dimostrazione esplicita del suo modo di vedere i rapporti internazionali sotto l’ottica “America First”: le alleanze strategiche sono collegate agli interessi nazionali e vanno oltre certe circostanze, seppur gravi e delicate (una conferma, se ce ne fosse bisogno, che Trump non bluffa e per determinati aspetti è il più onesto dei presidenti americani).

Nel caso si parla dell’Arabia Saudita, alleato di valore strategico in Medio Oriente e partner di primissimo livello dal punto di vista economico. Trump ha spiegato ai giornalisti, mentre era in partenza per passare il Ringraziamento nel buen retiro di Mar-a-Lago, che seppure ci fossero prove che il mandante dell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi fosse realmente l’erede al trono di Riad Mohammed bin Salman, questione su cui ha detto di non credere, la Casa Bianca comunque non ha nessuna intenzione di mollare il regno amico.

“Non abbiamo intenzione di rinunciare a centinaia di miliardi di dollari di ordini”, ha detto Trump prima di salire sul Marine One – poco prima, invece, la sua posizione era stata articolata da uno statement, messo giù con una scelta semantica semplice e diretta, in cui scrive: “Gli Stati Uniti intendono rimanere un partner costante dell’Arabia Saudita per garantire gli interessi del nostro paese, di Israele e di tutti gli altri partner della regione […] Il nostro obiettivo principale è eliminare completamente la minaccia del terrorismo in tutto il mondo!”.

Poi, a voce, ai giornalisti, diceva di non aver interessi personali in Arabia Saudita, intendendo che quel che sta facendo lo fa per ragioni nazionali; e a proposito delle forniture militari aggiungeva che Riad potrebbe pure comprarle (come sta facendo per aliquote minori) da Russia e Cina. E dunque, nell’ottica di Trump, andare troppo duri sui fatti collegati alla morte del giornalista – che viveva da un anno in auto-esilio a Washington perché temeva che il governo saudita potesse punirlo per le sue posizioni critiche – rischia di alterare le relazioni con un alleato e cliente, e mandarlo verso le braccia di due “potenze rivali”, come Pechino e Mosca vengono inquadrate dalla dottrina strategica americana.

Poche ore dopo la diffusione della dichiarazione ufficiale della Casa Bianca, il segretario di Stato, Mike Pompeo, difendeva la linea Trump: “È un mondo meschino e cattivo”, ha detto, “il Medio Oriente in particolare, [ma] ci sono importanti interessi americani, per mantenere il popolo americano al sicuro, per proteggere gli americani […] è questo l’obbligo del presidente […] assicurare che adottiamo politiche per la sicurezza nazionale americana”.

La dichiarazione del presidente, che si concludeva parlando dei bassi prezzi del petrolio (richiesta che la Casa Bianca da tempo avanza a Riad e che ha creato qualche screzio tra i due paesi), ha suscitato indignazione immediata tra i sostenitori dei diritti umani e i giornalisti, che avvertono che la retorica del presidente rischia di promuovere ulteriori violenze contro i dissidenti che vivono sotto governi repressivi.

Tra le critiche, anche quelle di chi sostiene che con la sua presa di posizione Trump abbia indebolito la Cia, da cui nei giorni scorsi erano state fatte uscire indiscrezioni ai media – mai smentite, e dunque quanto meno veritiere – secondo un coinvolgimento di bin Salman nell’omicidio di Khashoggi. Secondo l’agenzia, l’erede al trono, factotum nel regno, avrebbe ordinato il rapimento del giornalista che lavorava al Washington Post per ripotarlo in patria e punirlo per le posizioni prese contro il corso del potere interno di Riad (Khashoggi era accusato anche di essere un elemento della Fratellanza musulmana, organizzazione islamica che in Arabia Saudita è considerata illegale). L’erede al trono saudita, dice l’intelligence, era il mandante dell’azione che il 2 ottobre al consolato di Istanbul è degenerata fino all’assassinio.

Sulla dichiarazione di Trump, è intervenuto anche il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che ha usato quelle che ha definito parole “vergognose” del presidente statunitense per i propri interessi. L’americano, nello statement che iniziava con “il mondo è un posto pericoloso”, accusa l’Iran di essere “responsabile di una sanguinosa guerra per procura contro l’Arabia Saudita nello Yemen, cercando di destabilizzare il fragile tentativo iracheno di democrazia, appoggiando il gruppo terroristico Hezbollah in Libano, sostenendo il dittatore Bashar Assad in Siria (che ha ucciso milioni di suoi cittadini), e molto altro ancora”. Ironico, diceva Zarif, che Trump inizi accusando l’Iran nel primo paragrafo di una dichiarazione che dovrebbe riguardare “le atrocità saudite”.

Ma anche questa la dimensione del caso Khashoggi e delle dichiarazioni di Trump. Per Washington, Teheran è un nemico da combattere, e per farlo lavora in partnership con i due principali alleasti regionali, Riad e Tel Aviv, che considerano la Repubblica islamica un nemico esistenziale (dall’Iran l’atteggiamento verso gli altri tre è reciproco). Lo scontro riguarda l’equilibrio politico e geopolitico del Golfo e del Medio Oriente, dove gli Stati Uniti hanno interessi forti che superano anche gravissimi fatti di cronaca come l’uccisione del giornalista.

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