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Poca politica e molto business. Perché Trump ha esentato l’Italia sull’Iran

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“Non vedo motivi politici o legami di amicizia particolari dietro l’esenzione concessa all’Italia”, ci dice Annalisa Perteghella dell’Ispi, a proposito della concessione americana di derogare per altri sei mesi il business petrolifero italiano dall’effetto delle sanzioni reintrodotte all’Iran.

L’analista italiana, che per l’Istituto per gli studi di politica internazionale copre l’Iran desk, spiega che “gli otto Paesi che hanno ricevuto le esenzioni sono i maggiori importatori di petrolio dall’Iran. Insieme contano per circa il 92 per cento delle esportazioni iraniane, Italia e Grecia rappresentano circa il 50 per cento delle importazioni europee di petrolio iraniano”.

Da lunedì 5 novembre gli Stati Uniti hanno riattivato in forma completa il regime sanzionatorio contro l’Iran: una decisione nota fin da maggio, quando la Casa Bianca ha tirato fuori gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare voluto dall’amministrazione Obama nel 2015. Una mossa con cui Washington mira a colpire soprattutto il settore petrolifero.

A cosa si legano le esenzioni, dunque? “La motivazione della decisione americana di includere le esenzioni è da ricercare nella volontà di non causare uno shock sui mercati globali dell’energia, che avrebbe portato a un innalzamento vertiginoso del prezzo del petrolio”, spiega Perteghella.

Gli otto Paesi esentati a cui sono state applicate waiver, come vengono definite in gergo tecnico, sono appunto Italia e Grecia, e poi Cina, India, Turchia, Corea del Sud, Taiwan e Giappone: le esenzioni sono importanti perché le misure reintrodotte da Washington non interessano soltanto il divieto a società o banche statunitensi di commerciare o investire in Iran (cosa rimasta vietata anche sotto l’accordo sul nucleare), ma hanno effetti secondari, ossia colpiscono anche entità straniere che vogliono fare affari con l’Iran. Il governo americano si riserva la possibilità di applicare multe o impedimenti nelle attività che riguardano le esposizioni negli Stati Uniti di queste aziende terze, sebbene nei loro business iraniani operino nel pieno quadro giuridico dei propri Paesi di origine.

Washington usa queste sanzioni secondarie come chiave dissuasiva, per capirci è come se dicesse a una compagnia europea: sei libera di fare affari in Iran, ma sappi che rischi punizioni sui tuoi business americani. Sapendo che il mercato americano è più importante di quello iraniano, Washington gioca di forza nell’isolare Teheran.

“Le esenzioni sono tra l’altro temporanee, a maggio l’amministrazione Trump deciderà per un eventuale rinnovo, e molto dipenderà da che cosa sarà successo nel frattempo”, aggiunge Perteghella. L’obiettivo fissato dall’amministrazione americana è di portare a zero le esportazioni dall’Iran, con un contraccolpo che secondo alcune stime potrebbe avere effetti sulla diminuzione delle esportazioni di petrolio iraniane ben più significativi rispetto a quelli del periodo 2012-2015, quando le precedenti sanzioni avevano come fine politico portare l’Iran al tavolo di trattativa sul nucleare.

La contrazione stimata potrebbe arrivare quasi a 2 milioni di barili al giorno, rispetto agli 1,2 milioni collegati alle sanzioni 2012-2015. Secondo l’analista italiana, il calo di produzione rischia di essere maggiormente percepito anche dal mercato internazionale, perché avviene in un periodo di crescita economica generalizzata: un contesto diverso da quello precedente. I principali paesi produttori, Opec e non Opec (Arabia Saudita e Russia), hanno manifestato l’intenzione di colmare le quote di mercato lasciate scoperte dall’uscita dell’Iran, tuttavia “rimane in dubbio la reale capacità di aumentare la produzione per soddisfare l’intera domanda globale, e la sostenibilità nel tempo di questa opzione”.

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L’aumento dei prezzi nei prossimi mesi è dunque uno scenario probabile, anche perché l’obiettivo “a medio-lungo termine dell’amministrazione Usa è quello di paralizzare il settore energetico iraniano e privare gli iraniani della maggiore entrata di bilancio”, senza uno scopo politico diretto, come quello del tavolo negoziale sul deal atomico.

Come sta reagendo Teheran, al di là dei proclami propagandistici? “La posizione ufficiale al momento è quella di una disponibilità al dialogo con gli Stati Uniti, a patto però che trattino l’Iran ‘con rispetto’ hanno detto”. Ma ci sono ancora spazi di manovra? “Non è escluso che nei prossimi mesi, se l’amministrazione Trump dovesse fornire garanzie, si aprano dei nuovi backchannel diplomatici”.

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