Esiste una terza via, potabile e credibile, tra lo scontro tout court contro l’Ue e il “sì, obbedisco” pronunciato dal premier greco alla troika che è ancora nei ministeri ellenici? È possibile chiedere flessibilità in nome della potestà “nazionale” ma al contempo usare quei denari per pratiche che stimolino la ripresa e non aumentino il debito pubblico?
Sono alcuni degli interrogativi nati anche dopo il “consiglio” del premier greco Alexis Tsipras al governo Conte (ovvero «Cedete subito, poi sarà peggio»). Ecco una ricostruzione su come oggi la Grecia raccoglie i frutti della scelta del suo governo.
SIMITIS
Il buco nero ellenico non nasce certo nel 2011, ma ha origine da quando il governo guidato dal socialista Kostas Simitis alterò i conti pubblici per entrare nella moneta unica. Da quel momento il sistema-paese greco non solo non ha abbattuto il suo debito, ma lo ha costantemente aumentato accanto ad una gestione deficitaria dei fonti europei (con milioni di euro non utilizzati e altri deviati dalla pratica delle tangenti) e a un sistema di mancati introiti per le casse dello Stato che ancora oggi il governo Tsipras fatica a migliorare. I dati disponibili fino al 2016 dicono che la Grecia aveva un mancato gettito fiscale di un miliardo di euro al mese.
Il mancato crack del 2012, con il conseguente memorandum siglato dal governo conservatore-socialista guidato da Antonis Samaras, ha prodotto sei tagli a stipendi, pensioni, indennità e servizi contribuendo da un lato a non far fallire la Grecia ma dall’altro a ridurre del 30% salari e pensioni e del 50% comparti delicatissimi come la sanità, i servizi sociali e l’istruzione.
FALLIMENTI
Guardando i dati ufficiali del bilancio dello Stato la crisi ellenica sembrerebbe alle spalle, il problema risiede nella vita reale dei 10 milioni di cittadini e delle imprese che è a un passo dal default, come dimostra l’esodo della nuova emigrazione ellenica da crisi. Un paper della Banca centrale di Grecia rivela che 500mila greci sono emigrati all’estero per lo più in Germania e Gran Bretagna, ma anche in Australia e Stati Uniti. Tutti già formati e in alcuni casi con famiglia al seguito.
Dal 2008 ad oggi il Pil greco ha fatto registrare un meno 28% e solo lo scorso anno è tornato a crescere, anche se al di sotto delle previsioni di troika e Commissione Ue. Nel 2017 per la prima volta dal 2009 il bilancio dello Stato ha manifestato un attivo dello 0,8% del Pil e un avanzo primario del 3,7%. Poca roba, ma comunque un fatto oggettivo perché accaduto dopo la bufera del 2012.
Crollato il mercato dell’auto, solo da un anno si iniziano a vedere i primi distributori di metano, accanto alla benzina verde che tocca anche i 2 euro nelle isole e al diesel che però fino a pochi anni fa i greci non acquistavano: nelle grandi città come Atene e Salonicco infatti era vietato l’ingresso ai veicoli alimentati a nafta.
IL DEBITO SALE
Migliora la disoccupazione che è adesso al 21% contro il 27% del 2015, ma il debito è salito al 190% del Pil causato sia dal fatto che i prestiti ricevuti da Atene non sono stati a costo zero, sia dall’altro grande tema fino ad oggi complessivamente sottovalutato: i prestiti in sofferenza delle banche, che hanno un numero elevatissimo di rate non pagate. Molte banche sono state chiuse nell’annus horribilis 2012, alcune per debiti neanche troppo alti, come la Banca dell’Agricoltura di Lamia, la più antica del paese: era nata alla fine del 1800 e un passivo di soli due milioni di euro ne ha sancito la fine.
I dati Eurostat rivelano che i greci si sono impoveriti: in primis il potere d’acquisto è crollato del 28,3% con il 21% di famiglie in estrema povertà. Nel 2010 erano solo il 10%.
Inoltre sono circa 200mila i posti di lavoro che si sono volatilizzati nel settore pubblico in otto anni con un dato che spicca alla voce successioni: lo scorso anno 133mila greci hanno detto di no ad un’eredità perché non potevano permettersi le tasse di successione.
SANITÀ
Ma il problema maggiore di tutta la crisi greca è legato al dossier sanitario, ovvero all’accesso alle cure, alle strutture ospedaliere dove spesso mancano “materie prime” come lenzuola o farmaci, mentre il governo ha fatto di tutto per attivare nei nosocomi nazionali il wifi gratuito e le tv al plasma: aprendo un fronte di scontro diretto con tutte le categorie sindacali dei medici e con le associazioni dei pazienti.
In Grecia le liste di attesa per interventi chirurgici sono la cartina di tornasole della crisi sanitaria: all’ospedale di Salonicco raggiungono i 12 mesi per mancanza di attrezzature o semplici garze sterili. Un tempo sufficiente per impedire non solo la cura in sé di una patologia ma finanche la prevenzione.
Tagliati anche i servizi di sicurezza negli ospedali, del 50%, mentre il finanziamento complessivo alle strutture ospedaliere è sotto il 6% del Pil. L’esempio della cittadina di Larissa è illuminante: proprio per l’assenza di un servizio di guardiania, sono stati rubati due apparecchi per colonoscopia e due per gastroscopia, del valore di 15.000 euro. Ma per riacquistarne di nuovi occorrono 80.000 euro, che non possono essere stanziati perché il governo greco ha l’obbligo di rispettare i parametri legati alle entrate ed uscite finanziarie che periodicamente sono ancora al vaglio della troika.
SEGNI PIU’
Un segno più, negli ultimi tre anni, si ritrova alla voce geopolitica e dossier energetico. La Grecia sta diventando uno dei nuovi hub-gas del Mediterraneo per la sua peculiare posizione strategica a “metà strada” tra il quadrante orientale del mare nostrum e quello legato ai paesi del versante euromediterraneo. Assieme a Cipro, Israele ed Egitto ha dato vita al quadriumvirato del gas che si sta evolvendo sia con la costruzione del gasdotto Eastmed sia con i frutti del gasdotto Tap che proprio dalla Grecia transita fino al Salento, via Albania.
Gli Usa, in vista del disimpegno dalla base turca di Incirlik, hanno individuato in Grecia tre nuove sistemazioni logistiche per navi, aerei e uomini così da poter supervisionare il fronte siriano in un paese meno ostile di Ankara.
Positivo anche il versante turistico, con il nuovo record di 30 milioni di visitatori fatto registrare quest’anno, il 90% dei quali concentrati nelle isole dell’Egeo. Un trend che contribuisce in misura oggettiva al Pil nazionale e anche all’occupazione stagionale, ma che ovviamente da solo non può spingersi oltre un certo tetto.
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