Un rapporto turbolento quello tra Washington e Ankara, complici i numerosi dossier aperti sul tavolo di Trump ed Erdogan (TurkStream, F-35, missili russi, caso Khashoggi, Iran). Ma in occasione del one to one di martedì scorso tra il segretario di Stato Mike Pompeo e il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ecco emergere la volontà comunque di mantenere aperto un canale di dialogo.
Da un lato le parole di Pompeo (contento dello “slancio del miglioramento delle relazioni con la Turchia”), dall’altro la lista presentata da Ankara, accompagnata però da un ulteriore doppio attacco: il primo sui commenti del presidente degli Stati Uniti circa il principe ereditario saudita, il secondo sull’acquisto dei sistemi di difesa S-400 dalla Russia considerato “cosa fatta”.
QUI WASHINGTON
Come anticipato giorni fa dalla Nbs, la Casa Bianca sta immaginando di dare vita a una serie di sforzi diplomatici per non consegnare definitivamente l’alleato Nato nelle mani caucasiche. E pensa di mettere in campo alcune misure per riallacciare con Erdogan. Ma se da un lato Pompeo tenta di mediare, dall’altro Ankara attacca ancora e presentala lista “della spesa”: estradare 84 golpisti del movimento Gulenista.
Lo ha detto il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu al segretario di Stato Mike Pompeo nell’incontro in terra americana (dopo aver preso parte all’8 ° Forum globale dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite nel Palazzo di Vetro) mettendo l’accento sul fatto che l’Hizmet è secondo Ankara un gruppo terroristico a tutti gli effetti, rinominato Fethullahist Terror Organizazion (Feto).
Pompeo non ha offerto garanzie, ma ha ringraziato il ministro turco per lo “slancio positivo” nei rapporti tra i due paesi alleati dopo la liberazione del pastore evangelico Andrew Brunson, su cui Erdogan ha scelto una tattica ibrida: prima un tribunale turco lo ha condannato per accuse di terrorismo, ma in seguito lo ha scarcerato a causa della buona condotta e del tempo già scontato (21 mesi), al fine di chiudere la querelle diplomatica con Washington.
CURDI & SIRIA
Passaggio che si intreccia con le dinamiche siriane, dove la contrapposizione atavica tra Erdogan e i curdi è altro terreno di scontro/dialogo tra Usa e Turchia. Sul punto si registra la mossa del segretario alla Difesa Jim Mattis, secondo cui presto gli Usa allestiranno “posti di osservazione” lungo il confine tra Turchia e Siria.
L’obiettivo è costruire un cuscinetto di controllo sulla contingenza legata alla sconfitta dei militanti dello Stato islamico in Siria, e parallelamemte aumentare gli attuali 2000 soldati Usa in Siria per calmierare le lamentale di Ankara in chiave anti curdi, ovvero guardando a quella Forze Democratiche Siriane (SDF), che includono le milizie siriane del YPG curdo. Infatti i posti di osservazione saranno uno strumento ad appannaggio della Turchia proprio per perseguire una volta per tutte la rimozione delle roccaforti dello Stato islamico.
HALKBANK
L’incontro turco-americano ha riguardato anche un’altra questione: quella relativa al rimpatrio del banchiere Hakan Atilla, già vice Ceo della banca turca pubblica Halkbank (e di stretta osservanza erdoganiana), condannato negli Usa a 32 mesi di carcere per aver aiutato Teheran a bypassare le sanzioni. I turchi vedrebbero di buon occhio la possibilità che sconti il resto della pena in patria, come segno di un miglioramento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.
Secondo Cavusoglu la Halkbank non ha violato alcuna sanzione degli Stati Uniti, dove vi sono due processi a carico di Atilla: il primo dinanzi alla Corte Distrettuale di New York e l’altro dinanzi al Tesoro. Il ministro ha inoltre messo l’accento sul fatto che anche dietro tale questione “si nasconderebbe la mano del gruppo terrorista gulenista FETÖ, il gruppo che ha guidato il colpo di stato del 2016 in Turchia”. Mentre da sempre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito il processo giudiziario come un attacco politico al suo governo.
GOLGE
Nel mezzo un altro caso meno noto, quello dello scienziato della Nasa Serkan Golge, con doppio passaporto, condannato lo scorso febbraio a sette anni di carcere con l’accusa di terrorismo: pena ridotta a cinque anni. Si tratta di un riceratore che si è formato alla Fatih University e ha conseguito il dottorato in fisica alla Dominion University nel 2010, anno in cui è stato naturalizzato cittadino degli Stati Uniti. Ma nel luglio del 2016 è stato arrestato assieme a migliaia di altre persone tra cui militari, giudici, accademici e giornalisti, con l’accusa di partecipazione al movimento gulenista che avrebbe agito contro il governo turco.
C’è chi parla a questo punto di “diplomazia degli ostaggi” in riferimenti ai tre casi giudiziari citati, ma è chiaro che tutto parte dal caso Gulen che Erdogan vede come fumo negli occhi per via del precedente sodalizio tra i due tramutatosi poi in contrapposizione cruenta, e su cui si giocherà un probabile terzo tempo sull’asse Washington-Ankara.
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