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Macbeth a Venezia. Il melodramma verdiano in scena al Teatro La Fenice

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Macbeth di Giuseppe Verdi ha inaugurato il 23 novembre la stagione 2018-2019 del Teatro La Fenice, una delle fondazione liriche più apprezzate dal pubblico italiano e straniero e che anche quest’anno presenta un ricco programma di nuovi allestimenti e riprese in repertorio.

Tanto la tragedia di Shakespeare quanto il melodramma verdiano sono basati sul “gioco del potere”, tema centrale di quegli anni e anche di questi. Pochi sanno che i Macbeth verdiani sono tre: quello del 1847 che ebbe la prima al Teatro La Pergola di Firenze; quello del 1865, fortemente rimaneggiato, per il Théâtre Lyrique di Parigi e aggiornato di nuovo per La Scala nel 1874. L’edizione del 1874 è raramente citata nelle stesse storie delle musica e viene messa in scena solo di tanto in tanto: se ben ricordo, l’ultima volta che è stata vista è circa dieci anni fa allo Sferisterio Festival di Macerata. Nel 2011 a Salisburgo e a Roma, Riccardo Muti e il regista Peter Stein hanno scelto una combinazione della versione del 1847 e di quella del 1865. A Parma si è messa in scena in settembre-ottobre la versione del 1847, più vicina a Ernani e a Giovanna D’Arco, ma per certi aspetti più moderna, soprattutto nell’uso del declamato. La Fenice ha scelto la versione del 1856 che lo stesso Verdi considerava definitiva.

In buca, con i complessi de La Fenice, Myung-Whun Chung per la prima volta alle prese con questo titolo verdiano. Ha offerto una direzione personalissima, anche se non rigorosamente filologica , ma affascinante e trascinante, con tempi stringati e violenti. Una direzione d’orchestra molto teatrale, che si addice all’opera tratta dalla più breve, e più concitata tragedia shakespeariana. Lo assecondano i cantanti: Luca Salsi, una bella voce che ha interpretato il ruolo di Macbeth decine di vote (anche al recente festival verdiano di Parma), Vittoria Yeo (la Lady), Simon Lin (Banco), Stefano Secco (Macduff), e Marcello Nardi (Malcom).

Controversa, come spesso avviene, la regia e drammaturgia di Damiano Michieletto con le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti, le luci di Fabio Barettin e i movimenti coreografici di Chiara Vecchi. La drammaturgia pone l’accento sulla mancata paternità del protagonista come determinante della cruenta ascesa di Macbeth, istigato dalla moglie, al potere assoluto e della sua successiva caduta. Quindi, sangue e guerra, nonché follia, Michieletto presenta un mondo onirico e costellato di allucinazioni. Secondo questa impostazione, Macbeth vive un lutto, soffre per una figlia che gli è morta e la dimensione “ultraterrena” dell’incontro con le streghe rappresenta il suo desiderio di rincontrare questa figlia scomparsa. È una lettura per molti versi estrema. Riflette il dramma della mancata paternità che è uno dei temi fondanti della poetica di Verdi. Tuttavia, la tragedia di Shakespeare contiene un verso eloquente della Lady “unsex me” che al contrario indica come la mancata paternità di Macbeth fosse in un certo qual modo voluta per essere più libero nello scalare il potere. Interpretazione, quindi, da discutere. E per farlo uno spettacolo da vedere.

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