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Aerospazio e difesa. Il grande salto richiesto alla politica e all’industria

volpi difesa

Il comparto dell’aerospazio, difesa e sicurezza si prepara al “grande salto”, quello che ci porterà nella Difesa europea, in un mercato globale sempre più competitivo e nell’Internet of Things. Certo, ci sono ancora alcuni ingranaggi da sistemare, a partire dalla precisa definizione degli interessi nazionali, dall’evoluzione della supply chain e dall’incremento della collaborazione tra pubblico e privato, magari con una Cabina di regia in capo a palazzo Chigi e una maggiore consapevolezza del dominio cyber, ormai irrinunciabile. È il messaggio che arriva dal convegno organizzato a Roma dalla Fondazione Icsa, dal titolo “Il grande salto – Le Pmi dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza tra cultura d’impresa, politiche industriali e innovazione”. Moderati dal professor Gregory Alegi, esperti e addetti ai lavori si sono alternati per capire come affrontare al meglio le sfide più spinose. Un messaggio è emerso con chiarezza: le istituzioni e l’industria devono procedere insieme.

UNA CABINA DI REGIA PER IL SETTORE

Ne è convinto il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi: “Le strategie nazionali devono essere il riferimento delle strategie aziendali”. Questo richiede “un maggiore coinvolgimento delle istituzioni”, anche perché “certi temi non hanno colore politico; il governo ha l’obbligo di dare continuità quando si parla di difesa, sicurezza e interessi nazionali”. Ne consegue il primo punto sulla tabella di marcia: “Definire il perimetro dell’interesse nazionale”, con gli occhi inevitabilmente rivolti “al Mediterraneo”. Compresi gli obiettivi, si potrà lavorare insieme per raggiungerli, con il contributo “delle fantastiche eccellenze del comparto italiano della Difesa” e l’idea di “una struttura efficace ed efficiente di supporto all’impresa”. Volpi pensa a “una regia operativa e specifica per il settore, attiva 24 ore al giorno esattamente come avviene in diversi altri Paesi europei”. Una struttura in cui siano rappresentati “l’industria, la Difesa, il ministero degli Esteri, il Mise e la parte delle informazioni per la sicurezza”. Aiuterà a definire le strategie e a individuare come mettere in campo le ormai (tristemente) note razionalizzazioni della spesa.

UNA POLITICA PER LA DIFESA

Non ha dubbi neanche il professor Michele Nones, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali: “Serve una politica per il settore dell’aerospazio, difesa e sicurezza, e per le sue piccole e medie imprese”. In particolare, serve “una politica esportativa”, e non solo per i big, ma anche per le Pmi. Ciò vale ancora di più nell’accelerazione che l’Unione europea ha impresso all’integrazione della Difesa. “Come accaduto per altri settori – ha spiegato Nones – la supply chain del comparto aerospazio e difesa sta diventando continentale; le Pmi italiane dovranno essere fornitrici delle grandi imprese collocate in qualsiasi altro Paese, e per farlo occorre che le componenti si possano muovere liberamente”. Inoltre, “occorre una politica della ricerca e dell’innovazione, che sviluppi programmi e iniziative dedicate specificatamente alle Pmi”. Poi, serve un “salto di serietà” sul supporto finanziario al settore. “Non possiamo continuare ad accettare che il sistema bancario italiano rifiuti di sostenere Pmi in ragione della loro natura militare”, ha chiosato l’esperto.

IL RUOLO DELLA DIFESA…

Non può mancare il contributo delle istituzioni della Difesa. In tal senso, il compito è attribuito al segretariato generale della Difesa e direzione nazionale armamenti, guidati dal generale Nicolò Falsaperna. “Tra i sei reparti di SegreDifesa ce n’è uno, il terzo, che ha il compito istituzionale di fornire al comparto industriale le informazioni per l’export, così da renderlo competitivo nelle varie campagne in giro per il mondo”, ha spiegato il suo direttore Pasquale Montegiglio. “La Difesa – ha aggiunto – sta cercando di interagire sempre di più con l’industria, di supportarne le esportazioni e, per il futuro, di individuare insieme ciò che possa essere utile sia alle Forze armate italiane, sia a quelle straniere”. Anche in questo caso, ha spiegato il generale, tra gli obiettivi c’è quello di non farsi trovare impreparati ai tavoli europei. Con i nuovi fondi previsti da Bruxelles (l’Edidp è già in moto), il rischio è mettere risorse “in un calderone” da cui poi restare esclusi.

…E QUELLO DEL CAPO FILIERA

È pronto a cogliere la sfida Leonardo, il campione nazionale guidato da Alessandro Profumo, alle prese con un ambizioso progetto finalizzato a rendere più efficiente la propria supply chain in vista delle tante sfide del mercato. Lo scorso luglio l’azienda ha lanciato il programma Leap 2020, acronimo di Leonardo empowering advanced partnerships, affidato nella sua attuazione al chief procurement and supply chain officer Marco Zoff. “È un cambio di paradigma”, ha notato intervenendo al convegno. Si tratta di trasformare i fornitori in partner, individuando “obiettivi comuni” e condividendo “investimenti o rischi, altrimenti non si è partner”. Poi, “è fisiologico che ci sposiamo con i partner migliori: partnership vuol dire che abbiamo il dovere di selezionare i migliori con cui fare un strada che sia molto lunga”, sulla scia della crescita sostenibile prevista nel Piano industriale 2018-2022. Attualmente, ha ricordato Zoff, “sono 2.700 le Pmi che hanno almeno un ordine con noi negli ultimi dodici mesi”, numero dunque destinato a ridursi. Rappresentano “uno scenario di altissima frammentazione, con enormi pregi e complessità”. Se, da una parte, si tratta di “aziende con alte capacità tecnologiche”, dall’altra il contesto pare contraddistinto “da forte frammentazione, in cui le piccole sono molte più delle medie”. Da qui, l’esigenza di fare “un salto di qualità nella catena del valore: abbiamo bisogno di eccellenza”.

L’INNOVAZIONE COME CONDIZIONE DI SOPRAVVIVENZA

Una sfida che per le Pmi del settore si traduce soprattutto in esigenza di innovazione. “Per rimanere sul mercato ed essere competitivi – ha spiegato Massimo Lucchesini, general manager dell’Oma di Foligno – servono processi focalizzati sulla qualità dei prodotti e della stessa organizzazione aziendale”. Ciò si traduce concretamente in “formazione continua, manutenzione preventiva, digitalizzazione, pianificazione e rispetto dei tempi”. Sono le stesse piccole e medie industrie, ha aggiunto, “a rendersi conto che, se non introducono concetti come additive manufacturing e Industria 4.0, non riusciranno a rimanere sul mercato”. Solo così è possibile cogliere l’invito dei big e adottare “un approccio win-win e collaborativo”.

IL CONTESTO CYBER

Ma l’esigenza di aggregazione nazionale riguarda anche il settore della cyber-security, per cui forse è opportuno iniziare a parlare con serietà dell’italianità dei prodotti (hardware e software), evitando dipendenze e legami che potrebbero un giorno rivelarsi problematici per ciò che riguarda la sicurezza nazionale. Ne è convinta Luisa Franchina, consigliere scientifico della Fondazione Icsa e presidente dell’Associazione italiana esperti in infrastrutture critiche (Aiic). “Esiste una risposta italiana al cyber, anche per ciò che riguarda l’hardware”, ha spiegato portando gli esempi di alcuni progetti realizzati da Pmi della Penisola, tra cui uno per la vivisezione di malware o un altro per l’analisi comportamentale con data center in Italia (“così che i dati restino nel territorio nazionale”). Certo, “quando ormai si parla di 5G”, è difficile che “ci possano essere soluzioni solo nazionali”, ma è importante che i fornitori “diventino compagni di squadra, che giochino per noi”, ha rimarcato l’esperta.

IL PROGRAMMA F-35

Un discorso, quello relativo all’esigenza di “fare sistema” in risposta gli interessi del Paese, che vale anche per il programma F-35, su cui sta proseguendo la valutazione tecnica promossa dal dicastero Difesa. Il suo legame con la filiera italiana è ormai comprovato, così come le capacità operative del velivolo e la sua rilevanza nel legame transatlantico, pilastro della politica estera e di difesa dell’Italia dal secondo dopoguerra. Eppure, ha ricordato il presidente della Fondazione Icsa Leonardo Tricarico, “il programma è stato, ed è, accompagnato da una pessima stampa”. Per questo è importante “veicolare le giuste informazioni, corrette e di prima mano”. Il modo migliore, ha suggerito il generale, è parlare con i piloti che manovrano i caccia di quinta generazione, per cui l’Aeronautica militare (prima in Europa) ha da poco dichiarato la capacità operativa iniziale. Chiacchierando con loro, ha detto concludendo, “si può cogliere l’incredulità e lo stupore per le performance del velivolo”.

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