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Perché Pechino sceglie Ottawa per scagliare la sua ira

Se c’è un Paese che sta già pagando il prezzo dell’allineamento con gli Stati Uniti sullo scontro con la Cina, quello è il Canada. C’è un secondo cittadino canadese, Michael Spavor, che insieme all’ex diplomatico Michael Kovrig, è trattenuto dalle autorità cinesi: un arresto che il ministero degli Esteri di Pechino spiega legato ad “attività che mettono in pericolo la sicurezza nazionale cinese”.

Non è la prima volta che i cinesi usano rappresaglie trasversali di questo genere: per esempio, come ricorda sul Foglio Giulia Pompili, esperta di Oriente, qualcosa del genere successe già nel 2017, quando le ritorsioni di Pechino finirono contro l’economia della Corea del Sud, colpevole di aver prestato il terreno all’installazione del sistema di difesa aerea Thaad, missili che dovevano servire da deterrente contro Pyongyang, considerato ai tempi la minaccia nucleare globale, ma allo stesso tempo disturbavano i cinesi che li vedeva come un modo con cui Washington avrebbe calcato la sua impronta militare nelle regione.

Stavolta il caso contro il Canada è l’arresto della Cfo di Huawei, la figlia del fondatore, Meng Wanzhou, fermata a Vancouver su richiesta americana per via di una denuncia di violazione delle sanzioni all’Iran, e da ieri formalmente trattenuta in libertà condizionata in attesa del corso delle pratiche per la richiesta di estradizione statunitense.

Pechino sceglie Ottawa per scagliare la sua ira e le sue rappresaglie per varie ragioni. Primo, il Canada è il Paese che ha formalmente arrestato l’importante top manager di Huawei. Secondo, il Canada non è particolarmente importante per la Cina (dal punto di vista economico e commerciale), e meno lo sarà in futuro, dopo la firma due settimane fa del trattato Usmca, con cui gli Stati Uniti si sono garantiti il sostegno di tutto il Nord America anche nella postura aggressiva su Pechino. Terzo, i cinesi non possono colpire gli americani perché con loro sono in corso colloqui sul fronte della guerra commerciale, che Pechino vuole chiudere rapidamente per evitarne di subire ulteriori pesi (anche politici).

La ministro degli Esteri canadese, Chrystia Freeland, alfiere dei diritti umani un po’ in imbarazzo davanti alla decisione della magistratura del suo paese di trattenere Meng solo per una richiesta americana, ha confermato l’arresto di Kovrig (che formalmente ancora è un dipendente del suo ministero) e poi ha parlato di Spavor, fondatore molto noto della Paektu Cultural Exchange, una società che si occupa di facilitare i viaggi in Corea del Nord: “Stiamo lavorando molto duramente per accertare dove si trova, e abbiamo sollevato questo caso con le autorità cinesi, e siamo in contatto con la sua famiglia”, ma i cinesi per il momento non sembrano troppo partecipativi.

Anche perché, il presidente americano Donald Trump, durante un’intervista alla Reuters s’è detto pronto a intervenire sul dipartimento di Giustizia riguardo al caso Meng se dovesse servire all’interesse nazionale: e dunque ha più o meno avallato quel che Pechino sostiene da sempre, ossia che l’arresto è da vedersi sotto un’ottica politica, come una possibile pedina di scambio nell’ambito dei negoziati in corso. I cinesi possono fare altrettanto con Kovrig e Spavor? Ieri, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Lu Kang, ha dichiarato in conferenza stampa che le autorità cinesi della provincia di Liaoning hanno eseguito “misure obbligatorie” su entrambi gli uomini il 10 dicembre – la Cnn ha chiesto di che misure si trattava, ma lui non ha risposto.

Ieri Freeland ha chiesto all’amministrazione Trump di non politicizzare i due arresti e quello di Meng: “I nostri partner di estradizione non dovrebbero cercare di politicizzare il processo di estradizione o usarlo per fini diversi dalla ricerca della giustizia”, ha detto la ministro in quella che è sembrata una risposta alle parole contenute nell’intervista alla Reuters di Trump.

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