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Scontro sul clima all’Onu. Mosca e Washington sposano Riad sulla linea critica

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C’è un interessante allineamento tra Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita (e Kuwait) per evitare l’approvazione completa di un rapporto redatto a ottobre dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) dell’Onu. I principali scienziati del clima nel mondo avevano avvertito che resterebbero ormai solo una dozzina di anni in cui il riscaldamento globale potrà essere mantenuto a un massimo di 1,5 °C, poi anche un mezzo grado peggiorerà significativamente i rischi di siccità, inondazioni, calore estremo e povertà, per centinaia di milioni delle persone. Per questo raccomandavano l’impegno globale per evitare l’innalzamento delle temperature oltre gli 1,5 gradi; da qui l’acronimo dello studio, Ippc-1.5C

Sabato sera, dopo un dibattito agguerrito di due ore e mezzo, i quattro maggiori produttori di petrolio – un’energia fossile, tra quelle considerate come maggiori responsabili antropici del riscaldamento globale – hanno fatto un passo indietro, lasciando scioccati gli altri delegati per la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si sta svolgendo in Polonia (la nazione più dipendente da carbone in Europa): la COP24 di Katowice.

I quattro hanno chiesto un allegerimento delle misure in approvazione collegate al rapporto 1.5C, in particolare non vogliono inserire nel documento una frase in cui il COP24 accetterebbe in modo completo le indicazioni dell’Ipcc – senza questo passaggio, il vincolo scientifico del documento Onu sarebbe più debole.

Il rifiuto di Riad, subito spostato dal Kuwait e poi da Mosca e Washington, ha messo in stallo i lunghi e delicati negoziati, e anni di ricerche scientifiche, che hanno cercato di porre il problema sotto un’ottica complessiva e accettabile per tutti. Essenzialmente il punto è la non-accettazione da parte di quei quattro della parola “accogliere” in una mozione con cui si sono introdotti i risultati dello studio dell’Ipcc nel documento conclusivo della Convenzione quadro di Katowice. Sauditi & Co. chiedono che si inserisca il termine “annotato”, cosa che renderebbe molto più facile per i governi eludere le considerazioni e le raccomandazioni scientifiche.

E dunque c’è un fronte, piuttosto potente, che va contro un blocco composto dai paesi membri dell’Ue, da 47 paesi meno sviluppati, nonché delle nazioni africane, latino-americane e sudamericane, che si sono espressi tutti a favore della relazione dell’Ipcc. E la questione è politica: Riad ha avuto sempre una lettura scettica sul clima, dovuta all’enorme peso che il petrolio ha sulla sua economia, ma finché era sola – o al massimo appoggiato dai fedelissimi kuwaitiani – il problema era relativo: ora invece ha il sostegno di due grandi potenze, tra l’altro membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, politicamente molto rilevanti a livello globale.

L’allineamento non è troppo sorprendente, però. Gli Stati Uniti sono guidati da un presidente, Donald Trump, che più volte ha esternato il suo scetticismo sui temi climatici: anni fa era sembrato un negazionista, accusando la Cina di aver costruito il problema per minare gli interessi americani e avvantaggiarsi nello sviluppo economico; poi dalla Casa Bianca ha solo alleggerito le sue posizioni, ma ha comunque messo restrizioni al ruolo dell’Epa, l’agenzia governativa per l’ambiente americana, e ha spinto moltissimo il recupero delle centrali a carbone; anche per tutelare aree geografiche dove si trovano le miniere e i centri di lavorazione, zone da cui sono arrivati tanti voti alle presidenziali (molti ottenuti promettendo proprio quelle tutele davanti a un predecessore, Barack Obama, che invece spingeva apertamente il concetto di carbon-free e aveva cercato di lasciare l’accordo sul Clima di Parigi nel 2015 come eredità globale).

Non più tardi di ieri, Trump, attaccava l’accordo sul clima di Parigi usando le proteste dei Gilet Gialli in Francia. Ma non solo: per gli Stati Uniti c’è anche il fronte delle esportazioni: la tecnologia estrattiva dei gas (e petrolio) di scisto hanno permesso all’America di passare da importatore di materie prime energetiche ad esportatore, con tutta una serie di nuovi fronti – chiedere per esempio alla Polonia, sempre più americanizzata, che ha da poco chiuso contratti per la fornitura di gas naturale liquefatto (Gnl), proprio come mossa per alleggerire la propria esposizione al carbone (ça va sans dire che in quel caso, per Washington, l’eliminazione del carbone polacco rappresenta una necessità).

La Russia, altrettanto, è un paese che ha praticamente tutta l’economia statale vincolata alle riserve energetiche, che sono di due tipi: petrolio – di cui è il più grosso produttore non Opec – e gas naturale. Sono entrambi combustibili fossili, additati come inquinanti per l’importante aliquota di riscaldamento globale che ha ragioni antropiche, ma contemporaneamente sono due potenti asset con cui Mosca riesce a giocare anche le sue carte sulla politica internazionale.

E per Russia e Stati Uniti, l’allineamento con Riad rientra anche nel quadro della politica estera, oltre che in quello degli interessi nazionali. Mosca e Washington stanno corteggiando i sauditi. Gli americani, con Trump, hanno riacceso le relazioni e riscaldato i rapporti con l’alleato storico mediorientale, perché ci sono in ballo, interessi economici, commercio, investimenti, strategia regionale. I russi allo stesso modo stanno sfruttando i contatti costruiti attraverso il sistema Opec+, quello in cui l’organizzazione dei produttori di petrolio dialoga con gli attori del mercato esterni per il regolamento dei prezzi del petrolio.

Mosca ha molto interesse nel sostenere le posizioni saudite sia per decidere insieme il valore del greggio, sia per controbilanciare gli spazi che si è costruita in Medio Oriente appoggiando il regime siriano, che a Riad non era ben visto fino a qualche anno fa, ma che adesso – per via della protezione russa – è diventato una realtà accettabile, pur se sostanzialmente ignorata. I russi, ma anche gli americani, sanno che per muoversi in Medio Oriente, serve di mantenere le relazioni con il regno, che è per altro lanciato in un piano di rinnovamento economico che porterà investimenti enormi.

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