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Conte, Di Battista e Fico. La leadership di Di Maio alla prova più difficile

I sondaggi languono, il leader arranca e la fronda interna cresce. Non è certo un periodo semplice per il Movimento 5 Stelle, costretto a fare i conti con un’evidente emorragia di consensi, con le difficoltà di Luigi Di Maio e con una crisi d’identità che rischia, prima o poi, di ripercuotersi sulla tenuta dei gruppi parlamentari e sulla stessa unità del partito. Anche perché l’uomo della sinistra pentastellata, Roberto Fico, si sta rendendo protagonista di un attivismo politico talmente palese da apparire insolito, e sospetto, non solo per l’incarico istituzionale che ricopre – quello di presidente della Camera dei Deputati – ma anche per il ruolo di rappresentante della minoranza interna che gioca dentro il movimento. Che è sempre stato, per inciso, una forza politica fortemente verticistica nella quale le voci interne di dissenso erano indotte al silenzio oppure, più semplicemente, allontanate.

Ma stavolta è diverso: stavolta ci sono di mezzo il governo dell’Italia, il futuro di un leader che è stato pur sempre in grado di prendere un partito d’opposizione e di condurlo fino al 33% – e a Palazzo Chigi – e la natura stessa del M5s. D’opposizione o di governo? Di destra e, quindi, alleato di Matteo Salvini oppure di sinistra come lo vorrebbe Fico e forse pure quell’Alessandro Di Battista ormai in procinto di rientrare in Italia?

Domande la cui risposta passa, innanzitutto, da ciò che sta accadendo nell’elettorato pentastellato, sempre vasto ma più esiguo di 9 mesi fa. D’altronde, secondo gli ultimi sondaggi, i cinquestelle sono calati fino al 25%, a dimostrazione che l’esperienza governativa gli sta riservando, per il momento almeno, soprattutto delusioni. A tutto vantaggio, invece, di Salvini che veleggia al 33%. Una fotografia anche figlia delle difficoltà di Di Maio, nell’ultima settimana alle prese con la vicenda di suo padre e dell’azienda di famiglia, ma in generale apparso in questi mesi impegnato, senza successo, a inseguire i risultati non solo comunicativi della Lega. Con la conseguenza di disorientare un pezzo non irrilevante di elettorato e pure dei gruppi parlamentari e della base, come noto formati – almeno nella loro componente storica – da militanti con una sensibilità e una storia più di sinistra.

Da qui gli strappi in aula, le voci di dissenso, i dubbi sulla leadership e le prese di posizione di Fico. Con il quale si poteva anche pensare che vi fosse una sorta di gioco delle parti con Di Maio per continuare a coprirsi a sinistra se non fosse, però, che si sono fatte ultimamente troppo smaccate per risultare davvero concordate. Anche perché stanno finendo per indebolire ulteriormente il vicepresidente del Consiglio sia internamente che esternamente. A tal punto da arrivare a mettere in discussione il suo ruolo di guida e l’unità del movimento che, secondo alcuni, sarebbe destinato a spaccarsi. Ipotesi che filtra pure da ambienti leghisti, quasi fosse una malcelata speranza di poter continuare a governare, magari con l’ingresso in maggioranza di Giorgia Meloni, senza il fardello dei pentastellati più critici con la linea Salvini in particolare su migranti, giustizia e corruzione.

E intanto, come se non bastasse, sullo sfondo ha iniziato a stagliarsi, in modo anche inatteso, la figura politica del premier Giuseppe Conte, stretto tra i due vicepremier ma in grado comunque di proiettare un’immagine autonoma sull’elettorato. Che sembra apprezzarlo, come racconta oggi su La Stampa Fabio Martini che nella sua nota ha sottolineato i migliori risultati ottenuti a novembre su Facebook da Conte rispetto a Di Maio. Segno ulteriore che il gradimento verso il primo sale mentre quello per il secondo scende. E così si fa largo addirittura l’ipotesi che il premier possa diventare anche leader politico nel caso in cui si dovesse tornare al voto nei prossimi mesi. Scenario non scontato ma plausibile considerate anche le difficoltà economiche.

In ogni caso, destino di Di Maio a parte, bisognerà capire cosa ne pensa Di Battista, l’uomo delle piazze a cinquestelle pronto a tornare in Italia dopo il lungo viaggio in America. Difficile, anzi impossibile, si limiti a un ruolo da spettatore. Continuerà a sostenere il vicepremier come finora ha sempre fatto oppure si unirà al coro dei critici? In questo secondo caso, certamente, per il M5S di governo la vita si farebbe ancora più dura.

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