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Caro Conte, le belle parole non cambiano i fatti

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Il presidente del Consiglio, all’indomani dell’approvazione della manovra da parte del Senato, ha dichiarato che i due partiti di maggioranza restano uniti, avendo entrambi interesse a portare avanti il sostegno al governo e sapendo che i cittadini non capirebbero una rottura. L’affermazione del premier, finalizzata a compattare il consenso all’esecutivo in Parlamento e nel Paese, contiene delle verità e delle palesi forzature.

Non è vero che i 5 Stelle e la Lega restano uniti, perché non sono mai stati uniti e non lo saranno mai. Il contratto di governo non è l’espressione di un’unità di intenti, bensì la sommatoria di proposte dell’uno e dell’altro partito, eterogenee e spesso contraddittorie, che evidenzia più divisioni che unioni, sul fronte economico, sociale e culturale: dal reddito di cittadinanza alle grandi opere, dall’assistenzialismo al sostegno alla crescita, dalla politica fiscale al rapporto con i media, dalla giustizia alle autonomie. L’azione dell’Esecutivo è caratterizzata da continui contrasti che, benché superati in nome del comune interesse a mantenersi al potere, sanciscono divergenti linee politiche, non comunanza di visione. Le prospettive politiche, a breve e medio termine, sono quelle di un progressivo allontanamento tra i due partiti di maggioranza, per inseguire e recuperare il consenso del proprio elettorato, profondamente diviso per opinioni e interessi. Certo, all’apparenza i 5 Stelle e la Lega sembrano molto uniti e i loro leader non perdono occasione per dichiarare la solidità del loro rapporto. Ma come nei matrimoni di interesse, le dichiarazioni ottimistiche dei coniugi spesso alterano la realtà e servono a nascondere i conflitti; e la determinazione degli sposi a difendere a parole il matrimonio sovente rappresenta una reazione alle critiche esterne ed esprime la paura che la fragilità del rapporto possa emergere.

È vero che nell’immediato entrambi i partiti hanno interesse a sostenere il governo. I 5 stelle, attraverso l’attuale esecutivo, sono arrivati a Palazzo Chigi e hanno ottenuto il risultato che si prefiggevano: occupare il centro della scena politica, condizionare qualsiasi maggioranza, destabilizzare il precedente sistema politico in nome del populismo alla Casaleggio. La Lega, con l’esperienza del governo Conte, ha preso il controllo dell’area politica di centrodestra, ha incassato il consenso popolare sull’immigrazione, si è accreditata come partito nazionale, ha rinvigorito le sue critiche all’Europa. Fuori dall’attuale formula di governo, i 5 Stelle sarebbero costretti a scendere a patti con un PD certamente ostico, in termini di contenuti politici ma anche di relazioni personali; e la Lega si troverebbe costretta a mediare con un Berlusconi mai domo ed europeista, una Meloni sempre battagliera e un personale politico dei partiti di centrodestra certamente più esperto e qualificato di quello dei 5 Stelle.

In una prospettiva più ampia l’analisi è diversa. I 5 Stelle hanno un pensiero politico fondato sullo Stato sociale centralizzato, sulla redistribuzione della ricchezza, sull’assistenzialismo per giovani e disoccupati, su un approccio soft alla sicurezza e all’immigrazione di massa, sul movimentismo ambientalista, sulla delegittimazione della classe dirigente; e quindi salvo evoluzioni o inversioni di rotta cammin facendo, hanno una naturale proiezione verso aree politiche compatibili con tale pensiero, da rinvenire essenzialmente nella sinistra più o meno radicale, non certo nel moderatismo centrista o nel centrodestra. La loro scommessa a sinistra è quella di costringere il PD ad adeguarsi alle loro posizioni ovvero a spaccarsi. La loro prospettiva a destra e quella di abbandonare un’alleanza innaturale con la Lega, nel momento in cui non sarà più utile.

La Lega, dal suo canto, esaurita la spinta propulsiva della politica sull’immigrazione, sarà costretta a riprendere i contatti con la propria naturale base elettorale, che è quella di centrodestra, prossima ai valori della crescita economica, del sostegno all’imprenditoria, della sicurezza delle frontiere e dei territori, dello Stato federale, della sensibilità istituzionale, dei pensionati, dei lavoratori, dei professionisti; una base elettorale sostanzialmente incompatibile con quella dei 5 Stelle. Nel contempo la Lega dovrà anche ricostruire il centrodestra, con una chiara e netta cesura rispetto all’attuale governo.

Non pare dubbio quindi che l’esperienza del governo gialloverde sia destinata rapidamente a tramontare, probabilmente già alle soglie o all’esito delle prossime elezioni europee. Probabilmente i 5 Stelle attendono l’evoluzione nel Pd e la Lega conta di consolidare il consenso sull’immigrazione e sull’esperienza di governo, per poi andare alla verifica delle elezioni europee. La linea dei 5 Stelle risponde a una logica tattica perché tiene conto della situazione dinamica dei possibili alleati a sinistra. L’azione della Lega è meno razionale: rinviare una rottura dell’alleanza con i 5 Stelle significa dare tempo al PD e alla sinistra di creare una proposta di governo con i 5 Stelle.

Non è vero, infine, che i cittadini non capirebbero una rottura dell’attuale alleanza. Al contrario, gli elettori dei 5 Stelle e della Lega sono in forte sofferenza, sia perché nessuno ha votato per un governo gialloverde; sia in quanto hanno concesso il proprio voto a programmi politici che sono stati significativamente disattesi o contrastati dal contratto di governo, a causa delle posizioni dell’alleato; sia perché la convivenza con gli alleati diventa sempre più difficile da tollerare, tra dichiarazioni e prese di posizione che sono fortemente avversate dagli elettori dell’una o dell’altra parte. La rottura del patto di governo gialloverde, anche in prospettiva di nuove elezioni, sarebbe tutt’altro che non compresa dagli elettori della Lega e dei 5 Stelle: sarebbe largamente condivisa. Gli elettori degli altri partiti e importanti forze sociali l’accoglierebbero con entusiasmo.


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