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Coree. Kim tende un segno di pace a Moon, pensando a Trump

Il satrapo nordcoreano Kim Jong Un ha augurato un pacifico 2019 in una lettera personale inviata al presidente sudcoreano Moon Jae-in: un gesto di buona volontà che sembra mirato a rilanciare progetti economici inter-coreani attualmente in stallo.

Due pagine, arrivate domenica in Corea del Sud, in cui il leader del Nord ha sottolineato come le due Coree abbiano ridotto significativamente le possibilità di conflitto armato attraverso tre vertici intercoreani che si sono svolti quest’anno e la riapertura di continui colloqui bilaterali.

Il testo, dei cui contenuti il portavoce del Palazzo Blu ha parlato pubblicamente con i giornalisti, arriva in una fase di rallentamento dei colloqui sul nucleare tra Washington e Pyongyang, con gli americani che cercano la sponda di Seul come contatto per aumentare il vigore dei negoziati; la stessa sponda è cercata anche dal Nord, come intercessione e/o scappatoia per alleviare il peso del regime sanzionatorio su cui gli Stati Uniti non intendono mollare fino alla completa denuclearizzazione della Corea del Nord.

Le sanzioni però hanno impedito anche il proseguimento dei progetti di impegno economico intercoreano, fa notare il Wall Street Journal. Tra questi ci sono piani della Corea del Sud per rinnovare le ferrovie e le strade obsolete della Corea del Nord, e la completa riapertura della zona industriale congiunta coreana chiusa per volontà dei sudcoreani come risposta ai test che Pyongyang stava compiendo quasi di continuo nell’ambito del suo programma nucleare.

Il problema quindi è questo: il regime sanzionatorio imposto da Washington ha anche clausole che permettono di colpire in forma secondaria. Si tratta di multe e limitazioni che potrebbero essere imposte per i deal con gli Usa a quelle ditte della Corea del Sud che conducono affari con il Nord. Davanti a questo, le cerimonie come quella della scorsa settimana per l’avvio del progetto ferroviario congiunto a cavallo della penisola coreana, restano solo simboliche se Washington non decide di lasciare spazi di azione alle ditte del Sud.

La questione sanzioni è centrale. Non a caso nella lettera Kim ha ricordato il suo viaggio incompiuto a Seul di settembre, dicendosi “deluso” per come sono andate le cose. Un incontro che sarebbe stato un unicum storico (il primo leader nordcoreano a viaggiare in Corea del Sud), saltato per ragioni organizzative, usate come scusa per nascondere il vero motivo del rinvio: Pyongyang non ha gradito affatto l’allineamento sudcoreano sulla linea di massima pressione sanzionatoria americana.

Al momento Washington e Pyongyang si parlano solo per vie laterali e secondarie. Una decina di giorni fa, una delegazione americana era a Seul per concordare la posizione da tenere comunemente e poi veicolare al Nord, e anche questo continuo allineamento non piace a Kim. Ma il presidente Moon, colui che ha costruito l‘impalcatura di fase negoziale forzando le sue visioni, al momento non può permettersi troppi scatti in avanti . È in discussione infatti l’accordo Usa-Corea del Sud su come condividere i costi militari, un deal quinquennale che scade oggi. Se dovesse terminare senza uno nuovo, le forze armate statunitensi potrebbero licenziare diversi dei dipendenti sudcoreani che lavorano nelle basi americane della penisola. La Corea del Sud paga circa 830 milioni di dollari per i costi delle truppe della United States Korea Force, dispiegamento da più di 30 mila unità disposto dagli anni Cinquanta— ai tempi della Guerra di Corea — come protezione contro il Nord. Ma adesso gli Stati Uniti trumpiani vogliono un forte aumento, sul solco di quello che più volte il presidente ha richiesto agli alleati che più beneficiano dell’appoggio militare americano (Europa/Nato, Giappone, Arabia Saudita): pagare bene la propria parte.

Con il dialogo diretto ridotto a zero rispetto alla fase effervescente dopo il summit di giugno tra Trump e Kim, il primo di questi incontri tra i leader dei due Paesi, e le relazioni tra Washington e Seul su una fase delicata, il processo — al di là delle dichiarazioni retoriche — sembra immobile.

Questo mese, gli  Stati Uniti hanno offerto una concessione per consentire agli operatori umanitari americani di riprendere il lavoro umanitario nello Stato stalinista, mentre Washington continua comunque a sanzionare alti funzionari nordcoreani per violazioni dei diritti umani e Pyongyang sembra disposta a parlare di denuclearizzazione completa solo davanti a un sostanziale allentamento delle sanzioni.

L’intento della lettera di Kim a Seul sembra quello di rianimare la collaborazione politica, ma soprattutto economica e commerciale, tra le due Coree. Un modo per trovare respiro davanti alla morsa sanzionatoria, e ottenere per intercessione del Sud qualche concessione dagli Usa, mentre dalla lettera è anche piuttosto evidente che Kim non abbia ancora sufficiente fiducia in Trump per cedere a fondo perduto sul denuke.

Nelle prossime ore il capo del regime nordcoreano pronuncerà il suo discorso annuale: a gennaio 2018 le parole di Kim alzarono i toni — disse che sul suo tavolo c’era un “pulsante nucleare” sempre pronto, Trump rispose di avercelo più grande e più pronto — ma quest’anno Pyongyang, in linea con la fase lenta ma dialogante, dovrebbe diffondere un messaggio più pacato per non alterare ulteriormente il processo.

 

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