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Corte Suprema. I piani di Trump per ridisegnare la giustizia americana (pensando al Russiagate)

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I problemi di salute, che hanno recentemente afflitto la giudice Ruth Ginsburg, portano nuovamente al centro del dibattito politico americano la questione della Corte Suprema. Un elemento che, negli Stati Uniti, è diventato sempre più divisivo e su cui l’amministrazione Trump sta concentrando la massima attenzione. Non è del resto un mistero che l’attuale inquilino della Casa Bianca stia ridisegnando la geografia politica della giustizia americana: non solo per quanto concerne la Corte Suprema ma anche – e forse soprattutto – in riferimento alle corti federali inferiori.

In questi due anni, il presidente ha infatti nominato un elevato numero di togati dall’orientamento tendenzialmente conservatore. Una strategia favorita anche dal fatto che i repubblicani detengono il controllo del Senato: non dobbiamo infatti dimenticare che, in base alla Costituzione, la ratifica della nomina dei giudici spetti esclusivamente alla Camera alta. Ragion per cui, visti i risultati delle ultime elezioni di metà mandato, sarà ancora l’elefantino prevedibilmente a decidere gli equilibri interni al potere giudiziario statunitense.

D’altronde, lo spostamento a destra delle corti è, per Trump, il frutto di una precisa strategia politico-elettorale: scegliendo togati conservatori, il presidente cerca di accattivarsi le simpatie dei repubblicani più tradizionali. Quei repubblicani che, per intenderci, non si sono mai fidati troppo del magnate newyorchese, considerandolo un personaggio bizzarro e non realmente allineato ai valori del partito. In questo senso, va per esempio letta la scelta di giudici come Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh alla Corte Suprema. E adesso, qualora le condizioni di salute della liberal Ginsburg dovessero costringerla al ritiro, Trump potrebbe approfittarne per spostare ulteriormente gli equilibri del massimo organo giudiziario statunitense.

Del resto, le logiche politiche non sono una novità in seno alla Corte Suprema. Negli ultimi decenni, si è sempre più assistito ad uno scontro tra due linee filosofico-giuridiche contrapposte. Da una parte, ci sono gli “originalisti” che – tendenzialmente di area repubblicana – affermano di voler interpretare la Costituzione in base ai princìpi originari con cui fu scritta. Sul fronte opposto, si stagliano invece gli storicisti, i quali – di area liberal – sostengono che la Costituzione vada letta secondo lo spirito dei tempi.

In tal senso, si capisce che lo scontro ideologico nella magistratura statunitense non è iniziato con Trump e che – anzi – risulta qualcosa di molto più profondo e strutturale. Per quanto non si debba dimenticare che, a tutela di indipendenza, i giudici godano dell’inamovibilità e dell’intangibilità del proprio stipendio. Ragion per cui non di rado accade che un togato possa prendere decisioni contrarie agli interessi del partito cui teoricamente dovrebbe appartenere. Si pensi soltanto che, pochi giorni fa, il giudice capo John Roberts (nominato dal repubblicano George W. Bush nel 2005) è stato decisivo per bloccare la stretta sul diritto d’asilo, auspicata da Trump. E non sarà un caso che proprio un centrista come Roberts sia paradossalmente diventato negli ultimi tempi una sorta di paladino per quanti (soprattutto a sinistra) si oppongono alle politiche dell’attuale presidente.

E adesso gli occhi sono puntati sulla Ginsburg. Per quanto indubbiamente tenace, l’età avanzata e la salute non ottimale potrebbero comportare un suo prossimo passo indietro. Elemento che, con ogni probabilità, scatenerebbe una battaglia parlamentare per la scelta del successore. In ballo, d’altronde, non ci sono solo i suddetti motivi di natura elettorale. Né soltanto il consueto dibattito sulle questioni eticamente sensibili (a partire dell’aborto). Sul tavolo c’è infatti anche qualcosa di più: l’inchiesta Russiagate. Qualora nei prossimi mesi dovesse verificarsi un’escalation nello scontro tra il procuratore speciale Robert Mueller e lo stesso Trump, non è affatto escludibile che il caso possa finire al vaglio della Corte Suprema (un po’ come accadde a Richard Nixon in pieno scandalo Watergate). In tal senso, l’orientamento dottrinale dei giudici potrebbe rivelarsi un fattore dirimente per le sorti di questa presidenza. E intanto repubblicani e democratici già affilano le armi.

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