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Crisi in sanità. Malpractice tra profili penali e reputazionali

L’importanza del momento comunicativo nella gestione della crisi in ambito sanitario si manifesta in primis a monte e, in secundis, a valle del rapporto instaurato tra il paziente e l’operatore sanitario.

Quanto al primo aspetto, accade spesso che la fuga dall’eccessiva burocratizzazione del rapporto sanitario, soprattutto nelle situazioni di urgenza, comporti una perdita nella tracciabilità delle informazioni rese al paziente, specie in sede di acquisizione del consenso informato ai trattamenti che si reputino necessari. Questo gap di prova dell’avvenuto processo di informazione ha delle specifiche conseguenze allorquando, nella fase patologica del rapporto sanitario, in caso di eventi lesivi, tale rapporto divenga oggetto di un procedimento penale o civile di risarcimento del danno derivante da una eventuale ipotesi di malpractice.

Ed invero, una volta instaurato un procedimento penale (ma lo stesso è a dirsi per il giudizio civile), la mancata annotazione completa ed esaustiva delle informazioni che siano state rese al paziente prima della effettuazione dell’intervento sanitario diventa sovente, per l’operatore sanitario che lo ha preso in carico e gestito, un ostacolo o comunque un impedimento alla prova della correttezza del proprio operato, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista dell’esito giudiziale (specie nell’ambito del giudizio civilistico di risarcimento del danno, in ragione del regime dell’onere probatorio ivi previsto). Sicché, al fine di non pregiudicare la conclusione, in senso favorevole all’operatore sanitario, di un eventuale giudizio relativo ad una ipotesi di asserito errore, salvaguardando a monte il dato probatorio, sarebbe auspicabile una annotazione quanto più precisa e specifica possibile delle informazioni rese al paziente.

Quanto al secondo aspetto, il processo di “vittimizzazione secondaria” dell’operatore sanitario, conseguente all’eventuale errore di costui, trova ampio riscontro nella prassi dei procedimenti penali, con delle ripercussioni tali da orientare ed influenzare finanche le scelte processuali del medico che si trovi indagato o imputato per un caso di asserita malpractice.

Difatti, l’impatto che tali vicende hanno a livello mediatico e gli innegabili riverberi di tale impatto sulla reputazione professionale dell’operatore coinvolto, inducono tale ultimo – come è accaduto di verificare nel corso dell’esperienza difensiva – a rinunciare alla difesa nel processo, anche in casi nei quali la speranza di un esito assolutorio sarebbe stata del tutto fondata, così preferendo invece di fendersi dal processo.

Al fine di sottrarsi a quel circolo di informazioni negative conseguenti alla instaurazione di un procedimento e, ancor più alla celebrazione pubblica di un processo penale, è stata spesso scelta la via del patteggiamento in fase di indagini. Là dove una sentenza di condanna (tale è, evidentemente, quella di patteggiamento) ottenuta in breve tempo ed in una fase – quella delle indagini, appunto – coperta da maggior riserbo è stata ritenuta maggiormente preferibile ad una sentenza di tipo assolutorio che fosse pervenuta però a distanza di molti anni dalla instaurazione del procedimento stesso, quando il danno alla reputazione professionale dell’operatore si sarebbe ormai consumato e si sarebbe rivelato difficilmente emendabile con una sentenza, quand’anche favorevole, a tale danno postuma.

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