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Vi spiego presente e futuro della cyber minaccia terroristica. Parla Neumann (King’s College)

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“Non abbiamo ancora visto armi informatiche create da terroristi colpire l’Occidente, e la rete internet non è ancora stata utilizzata come veicolo per attaccare i nostri Paesi. Questo non significa però che non accadrà mai, anzi bisogna prepararsi per questa evenienza”.

A crederlo è Peter Neumann, direttore dell’International Center for the Study of Radicalization del King’s College di Londra. Sentito da Formiche.net a margine di “Targeting the de-materialized Caliphate: extremism, radicalization and illegal traffiking”, evento organizzato a Roma dalla Nato Defense College Foundation, l’esperto di radicalismo fotografa lo stato odierno della minaccia terroristica in Occidente e prova a delinearne il futuro.

Professor Neumann, qual è oggi la fotografia della minaccia terroristica per l’Occidente?

Il counter terrorism si sta focalizzando ancora oggi molto su attentati “fisici”, condotti con armi, utensili utilizzati per offendere, e veicoli su strada. La minaccia non è svanita, ma il terrorismo minaccia ancora l’Europa anche attraverso attività cyber.

Quanto è elevato il rischio di cyber terrorismo?

L’impatto del terrorismo cyber è minimo al momento. È evidente che la nuova frontiera della Rete colpirà anche il terrorismo nei prossimi anni, specialmente nella forma di cyber attacco contro una struttura o un sistema che possa comunque creare importanti danni fisici, come manomettere i sistemi che controllano gli esplosivi. Utilizzare malware per attacchi con conseguenze nella Rete non è ancora possibile per i gruppi terroristici, che sono ancora molto focalizzati sul dare spettacolo attraverso grandi omicidi di massa. L’obiettivo delle organizzazioni terroristiche è spaventare la gente e fargli credere che non sia sicura in alcun luogo, ma per ottenere questo è possibile che nei prossimi anni vengano utilizzati strumenti informatici. Ci sono diversi casi di attacchi informatici, ma sono tentativi, nessuno di loro ha avuto finora veramente successo. Ancora non abbiamo visto armi informatiche create da terroristi colpire l’Occidente, e la rete internet non è ancora stata utilizzata come veicolo per attaccare i nostri Paesi. Questo non significa però che non accadrà mai, anzi bisogna prepararsi per questa evenienza.

Che tipo di azioni terroristiche si rilevano oggi nel cyber spazio?

L’Occidente oggi non può esimersi dal contrastare il principale ruolo che ha il Web per i terroristi, ovvero quello di essere il più utilizzato mezzo di comunicazione e diffusione della propaganda. Ci sono infatti altre azioni che utilizzano le Rete per creare le basi per futuri attacchi. E anche in questo caso si registrano pericolose evoluzioni, soprattutto dal punto di vista della comunicazione.

Quali cambiamenti si registrano?

Abbiamo visto molte di queste attività passare dai social media tradizionali come Facebook e Twitter a sistemi di messaggistica crittografata come Telegram. C’è molta attività nei gruppi dell’Isis su Telegram, il supporto verso l’organizzazione sembra ancora forte. La maggior parte dei jihadisti non compare più su social network aperti o pubblici, preferiscono utilizzare chat private come Telegram e WhatsApp. In questo modo i jihadisti possono essere difficilmente intercettati dall’intelligence e il pubblico è infinitamente minore. Mentre sui social venivano in contatto con chiunque, nelle chat il contatto avviene solo con persone interessate.

Quanto pesa oggi in Europa la Rete nel processo di radicalizzazione di futuri jihadisti?

La radicalizzazione online gioca ancora oggi un ruolo fondamentale soprattutto nei processi di reclutamento. Ciononostante non è l’unico fattore. Le persone che hanno commesso le azioni più estreme, anche decidendo di andare in Siria, solitamente oltre alla componente informatica hanno polarizzato la loro posizione anche a seguito di un contatto più diretto con i terroristi. Inoltre vi sono cittadine come Brighton e Cardiff che sono piene di queste compagini, gruppi che vengono guidati da leader forti e carismatici.

Esiste in Occidente una strategia comune di deradicalizzazione?

Non esiste una strategia condivisa, possiamo però contare su specifici programmi di cooperazione. Chiediamo alla società civile di collaborare, denunciando, ad esempio, se qualcuno dei conoscenti è tornato dalla Siria. Credo che sia sbagliato aspettarsi una completa trasparenza tra le agenzie di intelligence, ma si può lavorare sia sulla prevenzione sia sul recupero di persone che sono state coinvolte nella propaganda jihadista e vogliono uscire dal “tunnel”.

A che punto è invece la collaborazione delle forze dell’ordine con i colossi del Web?

Ci hanno messo molto ad adeguarsi e il percorso è ancora lungo. Sono molto efficienti per quanto riguarda l’Isis, ma ci sono tantissimi altri gruppi che agiscono con mezzi terroristici sul Web. Hamas, Hezbollah, tutti questi gruppi sono attivi, ma non sono una priorità per i governi occidentali e perciò continuano a crescere. È una questione di pressione politica, che lascia intendere come ci sia una cooperazione stretta per alcuni gruppi terroristici mentre per altri meno rilevanti no.

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