Padre Camillo Ripamonti, il gesuita che da alcuni anni – tutti tumultuosi – guida il Centro Astalli, la sezione italiana del Servizio dei gesuiti ai rifugiati, non è uomo incline ai metodi oggi più diffusi, non ama alzare i toni, non sta nei decibel la forza di un argomento. E resta se stesso anche davanti alla controversa scelta italiana di non firmare il Global Compact e quindi di non partecipare all’incontro di Marrakech il 10 e 11 dicembre prossimi, riservandosi una possibile firma successiva al dibattito parlamentare ritenuto necessario dal governo: “È strano che il governo non convenga con la linea del Global Compact visto che l’orientamento invocato da quando l’esecutivo si è insediato è quello della collegialità, il coinvolgimento di tutti i soggetti e gli Stati europei nella gestione dell’emergenza-sbarchi. Questa indicazione coincide proprio con il senso e lo spirito del Global Compact, cioè il protocollo della Nazioni Unite sui migranti. Mentre il secondo criterio invocato, quello che a decidere sia il dibattito parlamentare, è proprio quello che il governo ha evitato sul decreto sicurezza, visto che il voto di fiducia non ha consentito un vero confronto parlamentare. Voglio dire che il fenomeno complesso della mobilità umana non deve essere strumentalizzato per il consenso politico usando slogan e decisioni a effetto. È prioritaria al contrario la necessità di promuovere processi che possano favorire soluzioni socialmente costruttive e a lungo termine”.
Tutto questo gli appare un insieme di incongruenze, forse sarebbe possibile dedurne anche altro. Ma questo padre Camillo Ripamonti, il religioso fermo nei valori e pacato nei modi, affezionato al metodo del ragionamento e non dei decibel alti, non lo dice, a lui interessa indicare ciò che non torna per cambiare, capire, migliorare.
Il discorso così si sposta naturalmente sul decreto Sicurezza. Anche a non volerne parlare in termini evangelici, che lo rendono incompatibile con i valori di padre Ripamonti, anche in termini sociali gli appare un decreto determinato a creare insicurezza. “Più insicurezza appare il naturale sviluppo di un provvedimento che non rende più facile ma più difficile l’integrazione eliminando la protezione umanitaria. Questa figura consentiva a tanti che si trovano in quell’area mediana tra chi in base a datate categorie ha diritto all’asilo politico e chi in base alla logica odierna ne avrebbe diritto di trovare il proprio posto, di avere una prospettiva di studio, di lavoro, e quindi di integrazione. Ora questa prospettiva mancherà per molti che si trovano già in Italia e per molti che vi arriveranno, riducendo ovviamente le prospettive di integrazione e quindi determinando maggiore insicurezza. L’abolizione della protezione umanitaria e l’esclusione dei richiedenti asilo dal Sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) sono misure irrazionali e incoerenti rispetto all’esigenza del governo di aumentare la sicurezza dei cittadini”, spiega Ripamonti.
“Ampliando la marginalità e riducendo di molto le possibilità di accompagnamento di tanti migranti forzati, tra cui anche molti portatori di gravi vulnerabilità, si aumentano le fasce di irregolarità, di esclusione sociale e di illegalità. Un passo indietro di cui non si vede la logica, se non quella di alimentare l’allarme sociale per distogliere l’opinione pubblica dalle vere urgenze del Paese e ottenere consensi politici senza preoccuparsi di trovare soluzioni strutturali a temi complessi. In particolare desta allarme, perché contrario alla Costituzione, l’introduzione della detenzione amministrativa, fino a oltre 6 mesi, per persone che non hanno commesso alcun crimine ma solo per verificarne l’identità. A questo si aggiunge la previsione di una lista di Paesi sicuri stilata dal governo, per cui un richiedente originario di uno Stato considerato sicuro, non può presentare domanda d’asilo, in aperta violazione del principio di non respingimento, che è sancito dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato”.
Intanto però un clochard è morto di freddo a Roma. Era un “migrante”? Era un cittadino italiano? Di certo era un essere umano, che aveva diritto a una vita diversa: forse la sua vicenda cambierà di segno e valore quando si conoscerà la sua identità? Intanto però è nota l’emergenza nella quale si inserisce la sua morte, o no? “È l’emergenza di una città, Roma, dove il piano freddo per i senza fissa dimora scatterà a dicembre, le buste verranno aperte il 4, ma intanto sappiamo che le disponibilità per l’accoglienza diurna e notturna, già insoddisfacenti, pur aumentando sulla carta di 335 unità dai 2500 esistenti nei fatti diminuisce per via degli sgomberi operati in queste settimane (per esempio dallo spazio Baobab, ndr): molti dei posti disponibili dunque sono già occupati, rendendo evidente che siamo ben lontani dal rispondere al bisogno di 8mila persone che dormono all’aperto o in sistemazioni precarie. Una realtà che andrebbe affrontata non più in logiche emergenziali.” Il tragico destino del clochard deceduto nelle ore trascorse a Roma, purtroppo, sembra dargli ragione.