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Il futuro dei diritti umani a 70 anni dalla Dichiarazione Universale. Dialogo con Turkson e Parolin

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C’è tutto il senso di questo momento globale nel titolo scelto dall’Università gregoriana per la sua due giorni commemorativa della dichiarazione universale dei diritti umani: “Conquiste, omissioni, negazioni”. 70 anni infatti non sono bastati a porre le conquiste su un terreno che eliminasse le negazioni dei diritti umani ed è molto significativo che tra le sessioni di lavoro in cui il convegno si articolerà da questo pomeriggio vi sia quella sulle forme di detenzione e quella sulle sparizioni forzate, una realtà purtroppo molto diffusa nella realtà delle aree di conflitto ma poco studiata o analizzata. Le sparizioni forzate per altro, e sarà interessante vedere cosa emergerà dal gruppo di lavoro dedicato, riguardano anche paesi non ufficialmente in conflitto.

È stato il cardinale Turkson, prefetto del dicastero vaticano per lo sviluppo umano integrale, ad aprire i lavori, ricordando le forze oscure che tormentano tante aree del mondo e che si rendono protagoniste di conflitti e violazioni tanto palesi quanto diffuse dei diritti umani. “Mentre crescono povertà e ingiustizie all’interno delle nazioni, le dispute tra gli Stati non di rado vengono risolte con la forza armata”, persistono “conflitti armati efferati e alimentati da oscuri interessi, con il loro corteo di violazioni del diritto alla vita e all’integrità fisica e di altri diritti come l’accesso alle cure, all’acqua, all’educazione e al lavoro”.

Esiste dunque un diritto che va proclamato e che il cardinale Turkson ha così definito: “Il diritto alla pace e allo sviluppo umano integrale”. Termine caro a Paolo VI e ora divenuto nome del dicastero vaticano che si occupa di giustizia e pace con Papa Francesco, lo sviluppo umano integrale è la bussola culturale che guida la Chiesa cattolica in questo importantissimo discorso sui diritti umani. Lo ha detto chiaramente nel suo saluto Papa Francesco: “Penso ai nascituri a cui è negato il diritto di venire al mondo; a coloro che non hanno accesso ai mezzi indispensabili per una vita dignitosa; a quanti sono esclusi da un’adeguata educazione; a chi è ingiustamente privato del lavoro o costretto a lavorare come uno schiavo; a coloro che sono detenuti in condizioni disumane, che subiscono torture o ai quali è negata la possibilità di redimersi; alle vittime di sparizioni forzate e alle loro famiglie”.

La preoccupazione riguarda tutti coloro che vivono in un clima dominato dal sospetto e dal disprezzo, che sono oggetto di atti di intolleranza, discriminazione e violenza in ragione della loro appartenenza razziale, etnica, nazionale o religiosa. Non poteva che seguire la denuncia delle “molteplici violazioni dei diritti fondamentali nel tragico contesto dei conflitti armati, mentre mercanti di morte senza scrupoli si arricchiscono al prezzo del sangue dei loro fratelli e sorelle. In effetti, osservando con attenzione le nostre società contemporanee, si riscontrano numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani, solennemente proclamata 70 anni or sono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza”. Il primo papa che proviene dal sud del mondo sa bene che “mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati.” Il dato ormai entra nelle diverse realtà continentali, ma è evidente che la situazione nel sud del mondo presenta segni di emergenza che molto spesso significano negazione dei diritti più elementari.

Al convegno sarebbe dovuto intervenire anche il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, che è però partito per il summit di Marrakech e ha inviato un importante indirizzo di saluto scritto, nel quale ha ricordato che non c’è solo la dichiarazione di 70 anni fa a guidare la riflessione e l’azione odierna per dare un futuro ai diritti umani, che non sono un catalogo ma il frutto di una visione antropologica, ma anche la Dichiarazione di Vienna del 1993, quella sull’autodeterminazione dei popoli che indica il diritto dei popoli senza però violare o sopravanzare i diritti delle persone. Il fermo e reiterato richiamo a quel testo ha caratterizzato il suo testo.

“In questo momento storico – scrive il cardinale Parolin – l’automatismo tra valori e diritti sembra ignorato e non più ritenuto valido. Una lettura realistica ci impone un riferimento alla profonda crisi di valori che investe la persona umana e tocca il fondamento dei contenuti della Dichiarazione universale. Tralasciare il fondamento dei diritti vuol dire privarli del loro contenuto essenziale e consentire che si disperdano nel mare magnum di programmi arroccati sotto la spinta di sensazioni, emozioni, ideologie e perfino di fattori estranei al contesto internazionale.” E qui è arrivato il riferimento, di tutta evidenza molto allarmato, alla discussione in sede Onu del 30 ottobre scorso, durante la quale si è fatto riferimento alla vita umana non come valore ma come “diritto interpretabile”. Insomma, questa commemorazione vuole non tanto celebrare quanto guardare al futuro dei diritti umani.

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