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Perché la tragedia di Corinaldo non mi stupisce più di tanto

Un Paese, in cui si vendono 530 biglietti in più del consentito – cinquencentotrenta biglietti in più, su una capienza di 870 – a un serata, con apparizione notturna della star del momento. Un Paese, in cui una presunta via di fuga è in realtà uno scivolo stretto e insicuro, a stento protetto da balaustre lì chissà da quanto e chissà in quali condizioni. Un Paese, in cui sembra che l’unica cosa a contare siano quattro soldi sporchi, maledetti e subito, da raccattare purché sia. Un Paese, che si sveglia attonito e invoca subito silenzio e dolore, per le vittime. Come fosse abituato, assuefatto all’incuria, allo sprezzo delle regole, all’approssimazione, allo spregio delle più elementari norme del buonsenso e della ragione.

Un tempo si sarebbe detto anche del buon cuore. Perché quello che è accaduto a Corinaldo è atroce, assurdo, imperdonabile e, però, del tutto logico e per nulla sorprendente. L’Italia delle mamme che accompagnano le proprie figlie in discoteca e dei papà che aspettano fuori alle tre del mattino, è la stessa Italia che se ne frega di fare le cose per bene. Siamo sempre noi, attenti e premurosi con i nostri figli, ma troppo spesso allergici alle norme base del vivere civile, se non addirittura sprezzanti, come nella tragedia della scorsa notte. Arriva il grande nome e si pensa solo a una cosa: che sia l’occasione dell’anno, per fare quanti più soldi possibile.

E lo si fa alla grande, vendendo – lo accertano i Carabinieri in una manciata di ore, a testimonianza di quanto fosse semplice verificarlo – biglietti per oltre il 50% in più della capienza del locale e questa è la stima prudente, perché il premier Conte ha parlato di una capienza ancora inferiore e di molto. Per fare qualcosa di così assurdo e criminale, non basta essere assetati di denaro, devi aver dimenticato testa e cuore in un angolo buio. Forse anche con soddisfazione. Perché in una situazione di affollamento del genere, che si sta creando con una lucidità raggelante, non è neppure necessario lo spray urticante, basta uno starnuto un po’ più forte, per scatenare il panico e poi l’inferno.

Nel Paese che odia le regole, che le considera una fastidiosa imposizione dello Stato-nemico (lo stesso, utile parafulmine dei propri fallimenti…), si spaccia per ‘via di fuga’ quello scivolo stretto e insicuro, vero teatro della strage. Un’uscita di sicurezza, che di sicuro pare non avesse proprio nulla, protetta da balaustre, spazzate via come fuscelli dal peso della folla. Qualcuno l’avrà controllata e collaudata, chissà quando e chissà con quale cura. Lo sapremo presto, ma comunque troppo tardi. Nulla ha funzionato, a Corinaldo, perché quando la buona sorte ti abbandona, emergono spietatamente e in un colpo solo tutte le mancanze accumulate, unite all’indifferenza, la scarsa professionalità, la criminale sbadataggine.

Il bilancio, in termini di vite umane perdute, è intollerabile, ti lascia senza fiato, ma ad andarsene è anche la considerazione di noi stessi, come comunità avanzata e civile. I colpevoli diretti saranno individuati e c’è da augurarsi paghino il giusto, ma resteranno fuori dai radar i troppi che ogni giorno fomentano quest’andazzo da ‘una mano lava l’altra’, da ‘amici degli amici’, da colpe da distribuire con faccia arcigna, sia mai ci sentissimo un po’ responsabili anche noi.



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