L’interesse nazionale dell’Italia rischia di uscire fortemente danneggiato dalla ridda di dichiarazioni e iniziative che in queste ore arrivano in ordine sparso dalle istituzioni circa la postura del Paese su alcuni dossier importanti come il caso Regeni e la crisi in Yemen.
Prima l’annuncio senza precedenti del presidente 5S di Montecitorio, Roberto Fico, di voler interrompere le relazioni diplomatiche col Parlamento egiziano fino a una svolta sul caso del ricercatore italiano. Poi il rilancio del governo col vicepremier Luigi Di Maio secondo il quale, in assenza di risposte dal Cairo entro l’anno, tutti i rapporti tra i due Paesi potrebbero risentirne, compresi quelli economici. Senza contare la risoluzione sulla guerra in Yemen che il Movimento 5 Stelle è pronto a presentare martedì prossimo (con la contrarietà della Lega, ma con una possibile sponda del Pd) alla Commissione Affari Esteri della Camera; un provvedimento che chiede in solitaria un embargo europeo contro l’Arabia Saudita e i Paesi della coalizione, quando è chiaro che nel Vecchio continente nessun governo, tranne quelli tedesco e danese, ha sospeso le forniture a Riad.
Questa linea, però, rischia di avere come unico effetto quello di penalizzare importanti campioni nazionali che fanno – anche in questo momento di oggettiva difficoltà – la forza del nostro Paese sul piano economico e dei rapporti internazionali, e che sono oggi presenti in entrambe le aree. Queste stesse eccellenze però rischiano oggi di pagare un prezzo salatissimo a discapito di competitor aggressivi pronti a prendere con cinismo il loro posto.
Bisogna essere chiari: la morte di Giulio Regeni merita tutta la chiarezza e l’attenzione possibili ed è auspicabile che le attività della magistratura, lo ha ricordato ieri su queste colonne Roberto Arditti, possano portare quanto prima a nuovi sviluppi sul caso. Così come è giusto mettere in campo ogni strumento politico-diplomatico perché il conflitto in Yemen cessi immediatamente.
È altrettanto certo, però, che questi obiettivi, assolutamente legittimi, non saranno raggiunti danneggiando in modo masochistico gli interessi del nostro Paese in Nordafrica e Medioriente. Evitarlo è (ancora per poco) possibile.