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L’armistizio commerciale Usa-Cina, l’Europa, e quindi l’Italia

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Quasi nessuno pare essersi interessato all’armistizio commerciale raggiunto tra Usa e Cina in margine al G20 di Buenos Aires. Nonostante ci sia ancora una certa confusione se l’armistizio (di sei mesi per giungere ad un accordo complessivo) decorra dal primo dicembre 2018 o dal primo gennaio 2019, il suo principale esito è, per il momento, quello di evitare una guerra commerciale tra le due superpotenze – guerra che avrebbe aggravato i venti di rallentamento economico che spirano sull’Europa e quelli di recessione che si avvertono già in Italia, Paese esportatore e che sarebbe uno dei più danneggiati dal dilagare di un conflitto commerciale mondiale.

Andiamo con ordine. Se si trattasse solo di riequilibrare gli scambi di beni e servizi tra Stati Uniti e Cina, il modo più efficace sarebbe non un conflitto a base di dazi e tariffe – come quello in atto – ma far fluttuare liberamente i tassi cambio. Pechino interviene anche pesantemente sullo yuan con controlli sui pagamenti e sui movimenti di capitale. Tra il 1997 ed il 2014, per far fronte al proprio avanzo commerciale verso gli Usa, la Cina ha acquistato 4mila miliardi di buoni del Tesoro Usa. Anche se nel 2015 e nel 2016 ha venduto parte delle riserve per impedire un apprezzamento della propria valuta, nel 2017 e quest’anno è di nuovo tornata alla grande a comprare valuta. Secondo l’Economic Policy Institute di Washington (il centro di ricerche dei sindacati americani), il dollaro è ora sopravvalutato del 25% rispetto alla yuan (ed in misura minore ma significativa rispetto allo yen ed all’euro). Questa sarebbe la determinante principale degli squilibri commerciali. In tale ottica, dietro la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, c’è un conflitto più vasto e più profondo. Nell’ultimo quarto di secolo, i presidenti americani che si sono avvicendati alla Casa Bianca (sia repubblicani sia democratici) hanno avuto l’obiettivo di un impegno comune di Washington e Pechino nell’orientamento (ove non nella gestione) degli affari mondiali. In breve, le due superpotenze avrebbero avuto l’onore e l’onere di assicurare al mondo una crescita equilibrata in un contesto sereno. In questa prospettiva, gli Usa hanno agevolato l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel lontano 2001 sulla base della promessa che l’economia del Paese sarebbe diventata effettivamente di mercato. Hanno anche tollerato che in numerosi sedi internazionali, la Cina non potesse vincolarsi in diverse materie (ad esempio, ambiente) e volesse essere ancora considerata a basso reddito ed in via di sviluppo.

Washington ha realizzato che tale obiettivo non è mai stato condiviso dalla Cina che ha, al contrario, utilizzato le regole Wto per penetrare nei mercati altrui ed anche acquisire tecnologia sviluppata nel resto del mondo, tenendo il proprio sempre più chiuso con barriere valutarie e commerciale. La Casa Bianca si sente, a ragione o a torto, come un’amante tradita nella propria buona fede. Reagisce con una strategia più articolata di quel che pare ad uno sguardo veloce. Donald Trump ed il suo potentissimo rappresentante per i negoziati commerciali, il falco Robert Lighthizer non credono nel metodo multilaterale della Wto ma in accordi bilaterali. Dopo una prima fase in cui la Casa Bianca è parsa di prendersela anche con gli alleati tradizionali (Canada, Messico, Unione Europea, Giappone e Corea del Sud) è chiaro che l’obiettivo è la Cina e non riguarda solo gli scambi commerciali. Nei nuovi accordi commerciali (il Nafta2, quello con la Corea e quello in fase di avanzato negoziato con la Corea), i partner degli Usa, si impegnano a non concludere «accordi commerciali con economie non di mercato», ossia con la Cina. L’accerchiamento dovrebbe indurre Pechino ad attuare anche una meno disinvolta politica del cambio.

L’Unione europea (Ue) non ha sino ad ora risposto ai suggerimenti Usa di fare fronte comune contro la Cina. Inoltre, correttamente l’Ue persegue una strategia multilaterale basata sui principi della reciprocità e dalla non discriminazione che da settanta anni sono i cardini del Gatt, prima, e del successore Wto che li ha declinati in uno vero proprio codice di diritto commerciale internazionale. Il codice può essere aggiornato (come tutti i codici) specialmente per tenere conto dell’evoluzione del progresso tecnologico. Ciò non vuol dire, però, tornare al bilateralismo, come propone Lighthizer il quale è molto vicino all’orecchio di Donald Trump. Una posizione più moderata, ed essenzialmente, multilaterale è quella del Segretario al Tesoro Steven Mnuchin, presente a Buenos Aires al G20, e, per molti aspetti, autore dell’armistizio.

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