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Vi spiego la miscela esplosiva che scuote la Francia (e non solo)

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Le rivolte che stanno sconvolgendo Parigi non sono un incidente della storia. Ricordano le vecchie Jacquerie. Quei moti spontanei che prendevano la forma di un’insurrezione popolare, priva di una preparazione politica, e rivolte di norma, contro il nemico più immediato. Caratterizzate, il più delle volte, da azioni di violenta ritorsione. In passato era soprattutto il mondo contadino ad esprimere la sua rabbia contro il predominio dell’industria ed i suoi pretoriani. Quella classe operaia che, benché sfruttata, poteva tuttavia presentarsi come il nuovo ceto emergente. Scontro che qualificava come reazionarie quelle moltitudini che assediavano i nuovi palazzi del potere.

Chi non vive in Francia non sa bene quale sia il motivo vero della protesta. Il ventilato aumento della tassazione sul Diesel – una sorta di carbon tax con finalità antinquinanti – è stata solo miccia che ha dato fuoco alle polveri. Facendo esplodere una rabbia profonda se si considera che la stragrande maggioranza dei francesi sta con i rivoltosi. I governi, riuniti a Buenos Aires – questo il sentimento più diffuso – pensano alla fine del secolo, noi alla fine del mese. Come dire l’ecologia è una cosa seria, ma intanto primum vivere.

Semplice buon senso, che trova sponda nella predicazione di Donald Trump contro quelle che egli considera fisime sul riscaldamento globale e la sfida dei cambiamenti climatici. Pericoli che richiedono sacrifici immediati in vista di un domani migliore. Logica che, al momento non sembra pagare, nei grandi boulevard parigini. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Anche perché non è detto che domani quel pollo finirà sulla tavola imbandita, di chi oggi già si sente escluso. Ed ecco allora la protesta contro un establishment fin troppo disattento nei confronti del proprio popolo. All’interno della quale, com’è sempre accaduto, si inseriscono i casseur, gli sbandati, i girovaghi della devastazione pronti a seguire il vento della violenza.

I politicisti dicono che a soffiare sul fuoco siano Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Estrema destra ed estrema sinistra che vanno a braccetto contro l’odiato Emmanuel Macron. È possibile. Anche durante il maggio francese, nel lontano ‘68, non era poi così facile distinguere gli uni dagli altri, negli scontri con la gendarmerie. Ma sarebbe riduttivo. L’impressione è che anche in Francia l’esercito dei loser (i perdenti della globalizzazione) sia notevolmente cresciuto. Soprattutto per le crescenti incertezze circa il proprio futuro. Quelli della stessa Francia nel contesto di un Europa, che funzionava, seppur malamente, al tempo del multilateralismo. Ma che oggi, di fronte ai cambiamenti intervenuti nei grandi equilibri dell’Occidente mostra tutti i suoi limiti.

Attacco a Macron, come cercano di interpretare molti analisti? Forse. Ma solo in quanto rappresentante di un potere che sta deludendo, rispetto alle attese della prima ora. Quando tutto sembrava più facile. Poi le rigidità europee hanno allungato i tempi e sminuzzato il grande progetto di riforma, lasciando la Francia alle prese con i suoi problemi. Un Pil che cresce più di quello italiano, ma sempre troppo poco. Un deficit di bilancio, da anni oltre i parametri di Maastricht ma che ora va ridimensionato. Altrimenti come si potrebbe condannare l’Italia, che comunque è più virtuosa? Ed ecco allora la miscela esplosiva che non scuote solo la Francia, ma l’intera Europa. Sovranisti e populisti da un lato, Jacquerie dall’altro. E in mezzo la Germania.

Sì, la Germania, con le sue politiche deflative e la non condivisione del rischio con gli altri membri del condominio. La Germania con il suo abnorme attivo valutario – unico al mondo – che spinge verso l’alto l’euro nei confronti delle altre valute e rende meno competitive le produzioni di tutti gli altri Paesi, escluso il Made in Germany. La Germania con il Bund che attira capitali dall’estero e facilita gli investimenti in loco. Insomma quell’eccesso di mercantilismo che sta distruggendo l’idea di un’Europa comunitaria per la quale sia giusto è bello lottare.

Prima o poi le Jacquerie, come sono cominciate, finiscono. Spesso sono solo bolle di sapone. Non sappiamo se questo sia lo schema adeguato per capire la Francia in rivolta. Forse lo sarebbe in un altro momento, ma nelle grandi incertezze europee questo è un’altro segnale di quel malessere profondo che ne sta scuotendo le giunture. E che non si sa dove potrebbe portare.

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