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I gilet gialli e le difficoltà della disintermediazione

repubblicano macron

La rivolta dei gilet gialli – il movimento di piazza francese radunato per protestare contro alcuni provvedimenti di ecotassazione del carburante proposti dal governo – domina l’agenda collettiva dei cittadini, della politica e dei  mass media francesi e internazionali.

La diffusione capillare di una protesta nata in rete parte da un simbolo semplice tratto dalla esperienza quotidiana, il gilet giallo che gli automobilisti devono avere a bordo della propria vettura come elemento unificatore. Gli scontri di piazza dei gilet gialli contro la polizia sono avvenuti in luoghi simbolici del potere politico francese: quegli Champs Elysées luogo simbolo della parata nazionale del 14 luglio, quell’Arco di Trionfo, voluto da Napoleone e dedicato a tutti coloro che hanno combattuto per la Francia.

Tuttavia, se si sposta lo sguardo dai dettagli, pure impressionanti, della protesta e si guarda allo sfondo del quadro politico e sociale, il vero fenomeno rilevante di questa esperienza, per il momento del tutto specifica al contesto francese, è la disintermediazione.

Con tale termine, in politica, si intende quel processo di perdita di rilevanza di ogni corpo intermedio tra la base dei cittadini e i vertici politici. Tale circostanza comporta lo smarrimento delle funzioni di partiti politici, organizzazioni sindacali e sociali, con la conseguenza che ogni formato di organizzazione e rappresentanza nei confronti della politica e delle istituzioni viene lasciato alla autonomia dei cittadini.

Il sistema dei media digitali e dei social network costituiscono l’infrastruttura tecnologica che ha reso possibile la diffusione di questo fenomeno, laddove gli spazi, i tempi e le logiche dei corpi intermedi (partiti, sindacati e organizzazioni di qualunque tipo) si restringevano, perdendo aderenza con un mondo sociale in trasformazione molto rapida.

Siamo di fronte alla auto-comunicazione di massa, indicata dallo studioso della rete Manuel Castells: cittadini e di gruppi tematici si autoselezionano e costruiscono la propria base per trasmettere alla politica interessi e istanze, sollecitare risposte su specifici temi, stimolare interventi dei leader su questioni e problemi.

L’esperienza politica francese degli ultimi mesi sembra sottolineare in modo quasi paradigmatico caratteri e limiti della disintermediazione in politica.

Per un verso, si è affermato alle elezioni presidenziali En Marche, il “partito leggero” costruito attorno alla immagine del leader Macron, in grado di porsi come un nuovo modello di organizzazione politica rispetto alle esperienze tradizionali dei partiti francesi.

Per l’altro verso, la trasmissione del dissenso ha previsto l’adizione di un modello di auto-organizzazione dei cittadini sui social network, con il trasferimento della protesta dagli schermi degli smartphone alle piazze. Tutto senza passare attraverso alcuna forma di organizzazione delle scelte collettive, con cui esprimere il dissenso per le politiche del governo, ma affidandosi alla granularità della rete.

Trovare la strada di uscita per la mediazione tra le due parti disintermediate rischia di essere un processo lungo e complesso. Sono probabili disagi generalizzati per un periodo sufficientemente lungo a far decantare un conflitto tra due parti – il partito non partito e il movimento nato sulla rete e rimasto acefalo – non in grado di produrre confronto e dialogo.

In particolare, i gilet gialli, avulsi dalla logica delle organizzazioni, prima ancora che delle istituzioni, faticheranno a trovare modi per rappresentare sé stessi, le proprie motivazioni e i propri interessi, al di fuori degli scontri e delle distruzioni.

Ed è a questo punto che diventa necessario ripensare, in modo integrale, la disintermediazione politica. È proprio vero che ogni formato di organizzazione politica e sociale sia ormai superato dall’espressione della volontà di chi si organizza sulla rete? Non ha forse la democrazia bisogno di tempi, strumenti e modelli di gestione e di trasmissione delle istanze provenienti dalla cittadinanza e dirette alle istituzioni? Come mediare il conflitto puntiforme della rete, laddove esso esplode in piazza? Forse, alla luce delle esperienze dei gilet gialli, si comincerà a prendere in considerazione formati innovativi di reintermediazione, per avvicinare cittadini e politica, in cui siano presenti tanto il supporto tecnologico della rete, quanto la necessità di misurarsi con la dimensione della realtà (e le sue mediazioni).


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