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Hsbc e non solo. Ecco le banche che vorrebbero scaricare Huawei. Report Wsj

huawey

Banche globali come Hsbc, Standard Chartered e Citigroup starebbero valutando di non fornire più finanziamenti o servizi bancari a Huawei. La ragione, secondo il Wall Street Journal che ha riportato l’indiscrezione, risiederebbe nel fatto che il colosso cinese potrebbe rappresenterebbe un rischio (in primis di business) dopo i tanti casi che l’hanno visto protagonista negli ultimi mesi.

IL RUOLO DELLE BANCHE

Huawei, fondata nel 1987 e attiva in circa 170 Paesi, si affida a banche internazionali per i propri investimenti. Per più di un decennio alcuni giganti bancari come quelli citati hanno contribuito significativamente all’inserimento di Huawei nel sistema finanziario globale. Ma ora tutto ciò potrebbe terminare secondo la testata finanziaria.

LE MOSSE DELLE BANCHE

Due delle banche che hanno contribuito alla crescita di Huawei, le britanniche Hsbc e Standard Chartered, scrive il Wsj, non forniranno più nuovi servizi bancari o di finanziamento al gruppo, giudicato troppo rischioso. Stando alle fonti del quotidiano, la decisione di Hsbc (che ha segnalato agli inquirenti americani transazioni sospette sulle sanzioni) risale allo scorso anno mentre quella di Standard Chartered sarebbe più recente. Una terza banca, l’americana Citigroup, continua a fornire servizi bancari al di fuori degli Usa mentre monitora gli sviluppi in America. Il report cita alcuni addetti ai lavori che affermano che Huawei avrebbe ricevuto finanziamenti anche da JPMorgan Chase., Australia & New Zealand Banking Group e gli olandesi di ING (anche se non è chiaro cosa accada al momento). Goldman Sachs, invece, avrebbe preso in considerazione l’idea di entrare in affari con Huawei nel 2013, ma avrebbe deciso di non farlo a causa di un feedback negativo da parte del Tesoro degli Stati Uniti.

LE SMENTITE

Come da prassi la stampa cinese ha cercato di smentire quanto scritto dal Wsj, in particolare il Global Times ha giudicato “falso” quanto riportato dall’articolo. Nel frattempo, su Twitter il tabloid cita il portavoce di Huawei, il quale avrebbe affermato che la cooperazione con i partner finanziari dell’azienda cinese nel mondo starebbe continuando senza intoppi.

LO SCENARIO

Tuttavia su Huawei si addensano da tempo i sospetti dell’intelligence Usa, che ritiene le sue apparecchiature un pericolo per la sicurezza nazionale, perché potenziale veicolo per condurre operazioni di cyber spionaggio. Accuse, queste, che non si limitano al colosso di Shenzhen.

Tra Washington e Pechino è in atto una contesa commerciale, tecnologica e di sicurezza di portata internazionale. Anche per questo, nel pieno della trade war tra le due potenze (che vive una “tregua” di 90 giorni) e dopo l’arresto in Canada della numero 2 di Huawei Meng Wanzhou che potrebbe essere estradata negli Usa per possibili violazioni delle sanzioni all’Iran, il dipartimento di Giustizia statunitense è passata al contrattacco e ha annunciato nei giorni scorsi di aver accusato formalmente dei cittadini cinesi per una campagna di hacking “estesa” e mondiale.

Da tempo Washington chiede in vario modo che la Cina (che nega ogni addebito ma che è sospettata anche dell’offensiva ai danni del gruppo alberghiero Marriott e dell’ancora non confermato hack alle comunicazioni diplomatiche dell’Ue, contenenti secondo il New York Times anche cablogrammi sugli Usa) ponga fine a quelle che l’intelligence nazionale considera cyber pratiche illecite, rispetto alle quali chiede un chiaro impegno – che sta arrivando – ai più stretti alleati.


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