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Huawei, le prove di Washington che accusano Meng Wanzhou

Una presentazione in PowerPoint, come tante se ne vedono in ambito aziendale, sarebbe al centro del caso internazionale che ha portato in Canada all’arresto della numero 2 del gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei.

LA PRESENTAZIONE INCRIMINATA

Il documento, illustrato nell’agosto 2013 da Meng Wanzhou a un banchiere della Hsbc, scrive il South China Morning Post, sarebbe infatti secondo gli Stati Uniti non un banale file, ma la dimostrazione di “una frode, progettata per aiutare Huawei a eludere le sanzioni statunitensi e comunitarie contro l’Iran, in un inganno che coinvolgeva centinaia di milioni di dollari”.

LA TESI DELL’ACCUSA

Cos’è che renderebbe così importante questo PowerPoint? Il contenuto della presentazione di 17 diapositive di Meng e la versione Usa degli eventi che lo circondano, ricostruisce il Scmp, “sono stati rivelati di fronte alla Corte Suprema della British Columbia, dove un giudice canadese la scorsa settimana ha concesso la liberazione di Meng su cauzione di 10 milioni di dollari canadesi (7,5 milioni di dollari Usa) in attesa di un’udienza sull’estradizione negli Stati Uniti”.
Sia i pubblici ministeri statunitensi sia gli avvocati di Meng, rileva la testata, concordano sul fatto che la presentazione, inizialmente consegnata con l’aiuto di un traduttore inglese, fosse intesa a dissipare le preoccupazioni di Hsbc secondo cui Huawei avrebbe potuto violare le sanzioni statunitensi facendo affari in Iran e portando così la banca a fare lo stesso.
Tuttavia, gli Usa affermano che il file, presentato in prima persona dalla donna, fosse infarcito di “numerose rappresentazioni false o fuorvianti” (cosa che gli avvocati di Meng naturalmente negato in ogni modo, sottolineando, tra l’altro, che questo documento – come altri del genere – è stato prodotto non dalla loro cliente ma da un dipartimento del colosso tech).

IL LEGAME CON SKYCOM

In ogni caso, ciò che secondo l’accusa renderebbe la presentazione “speciale” è il fatto che questa fosse incentrata sulla relazione tra Meng e Huawei con Skycom Tech Co, una società di Hong Kong che ha collaborato con Huawei in Iran.
“All’insaputa delle banche, stavano inavvertitamente conducendo affari con Skycom in violazione delle sanzioni”, ha detto John Gibb-Carsley, un avvocato del governo canadese che agisce per conto degli Stati Uniti, all’udienza per la cauzione di Meng.
Quando le banche si preoccuparono della relazione tra Huawei e Skycom – a causa di un articolo di Reuters che collegava Meng alla piccola impresa – Meng tentò di “controllare i danni”, ha detto Gibb-Carsley, e “rappresentò personalmente [alle banche] che Huawei e Skycom erano separati. Invece, non lo erano. Skycom era Huawei… Questo è il punto cruciale della presunta falsa dichiarazione”, ha aggiunto.
La presentazione, rimarca infine il Scmp, è stata illustrata da Meng in cinese con l’uso di un interprete inglese “per essere precisi con la sua lingua”, secondo la richiesta di Stati Uniti per l’arresto della donna, e presentata all’audizione della manager come parte di un affidavit giurato.

LA MINACCIA AGLI ALLEATI USA

Nel frattempo la Cina alza il tono del confronto e minaccia soprattutto il Canada, che l’1 dicembre ha arrestato a Vancouver (per poi rilasciare su cauzione, ma senza il permesso di lasciare la città, in attesa della sentenza sulla sua estradizione negli Stati Uniti) la numero due del colosso di Shenzhen. In virtù della sua scelta, Ottawa, afferma il tabloid Global Times, spin-off del Quotidiano del Popolo, organo di stampa ufficiale del Partito Comunista Cinese “si deve preparare alla possibilità di un’escalation del conflitto”. La Cina, aggiunge la testata, deve sollecitare i Paesi che hanno legami con Pechino e Washington a rimanere “neutrali” rispetto alla disputa in corso. “A quei Paesi che intendono ingraziarsi gli Stati Uniti senza riguardo per gli interessi della Cina, la Cina dovrebbe contrattaccare”. Non occorre “strafare”, prosegue il tabloid, ma “Pechino deve selezionare meticolosamente i contro-bersagli per fargli imparare la lezione”. Il giornale segnala – oltre al Canada, che ha già pagato un prezzo salato con i fermi dell’analista ed ex-diplomatico Michael Kovrig e dell’uomo d’affari Michael Spavor – Australia e Nuova Zelanda, tutti Paesi dell’alleanza anglofona di intelligence sharing Five Eyes che hanno escluso la telco dalla gara per lo sviluppo delle reti 5G nelle rispettive nazioni a causa dei crescenti timori di spionaggio.


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