Il futuro dell’Ue si decide prima delle prossime elezioni europee. Mentre i principali leader dei partiti politici nazionali pensano alla competizione elettorale per il rinnovo del Parlamento, le istituzioni europee, con la Commissione in testa, sono rivolte all’obiettivo del 9 maggio 2019. In quella data, due settimane prima delle consultazioni elettorali europee, nel corso del vertice europeo di Sibiu, in Romania, verrà adottata una delle posizioni di scenario previste dal Libro bianco sul futuro dell’Europa.
Questo importante documento, redatto dalla Commissione Juncker in occasione della celebrazione dei 60 anni dei Trattati di Roma, ipotizza cinque diverse soluzioni per la costruzione europea, che possono essere così sintetizzate: 1. invarianza; 2. riduzione del progetto europeo al solo mercato unico; 3. avanzamento parziale del progetto in ambiti specifici e per i soli stati membri che intendano aderire; 4.riduzione ed efficientamento delle politiche europee per tutti; 5.avanzamento dell’intero progetto europeo per tutti gli Stati.
Si tratta di una decisione importante per la costruzione europea, per gli Stati membri e per tutti i suoi cittadini. Una scelta in cui, a partire dai dati di contesto politico europeo e nazionali, le alternative delineate nel documento sono solo ipoteticamente in questione. Infatti, in tempi di antipolitica e populismo, è molto difficile che l’idea di andare avanti sulla base del modello vigente possa essere davvero considerata valida e praticabile. Gli orizzonti politici nazionali trovano spesso nell’attuale configurazione e andamento della Ue una facile giustificazione per lo sviluppo interno di sovranismi e populismo.
D’altro canto, limitare la Ue a mero mercato unico o fare di meno in modo più efficiente solo in alcuni settori di politiche sono due alternative che porterebbero ad una riduzione di un percorso di sviluppo e integrazione, praticato dalle istituzioni europee e finalizzato nel Trattato di Lisbona. Un percorso la cui importanza è stata rimarcata nel più politico dei documenti programmatici pubblici delle istituzioni europee, quel discorso sullo stato dell’Unione del 2018. Nel testo, il presidente della Commissione Juncker ha ribadito il ruolo centrale delle istituzioni Ue per l’uscita dalla crisi economica del continente, l’importanza dell’adozione di un modello di difesa europea, l’esigenza di portare la stabilità del continente nell’area dei Balcani, la creazione di una politica estera realmente comune e la definizione di una politica di bilancio per la Ue dopo il 2020. Obiettivi estremamente ambiziosi, in linea con il quinto scenario per il futuro dell’Europa, che propone agli stati membri di “fare di più tutti insieme”.
Tuttavia, ad una analisi politica, tale obiettivo rischia di essere troppo ambizioso e poco compatibile con le complesse vicende interne della Francia, con la difficilissima negoziazione per la Brexit e con la transizione in corso in Germania, dopo il lungo addio di Merkel alla politica tedesca.
Resta in piedi lo scenario del “chi vuole di più fa di più”, ovvero un modello basato sulla procedura decisionale. In grado di far avanzare l’iniziativa di integrazione tra gruppi di stati che condividono determinati obiettivi in specifiche aree di politiche. È, nei fatti, un paradigma di Europa a più velocità, in ambiti e contesti specifici, in grado di far avanzare il progetto europeo secondo un modello progressivo a geografie concentriche. Una soluzione praticabile tuttavia, soprattutto per quei gruppi di Stati membri caratterizzati da una migliore situazione economica, da una stabilità politica interna e da una omogeneità di culture politiche (Stati scandinavi, baltici, dell’Europa centrale).
Il contesto politico interno agli Stati membri e la dimensione di incertezza a brevissimo termine legata alle elezioni per il rinnovo del Parlamento potrebbero consigliare a Sibiu la scelta dell’ipotesi del “chi vuole di più, fa di più”. Si tratta di una soluzione intermedia e di compromesso tra il rilancio su vasta scala del progetto europeo proposto dalla Commissione Juncker e la riduzione dell’impegno europeo, avanzata da alcuni Stati membri. Un compromesso in grado di tenere alta l’attenzione sul progetto europeo, in un momento in cui i suoi principi appaiono maggiormente connotati da rischi e incertezza.