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L’inganno dei risparmi per 2 miliardi di euro sulla farmaceutica

Di Luca Pani
farmaceutica

Ha fatto molto discutere nella settimana appena passata la possibilità che la proposta del ministero della Salute in materia di Governance farmaceutica sia inattuabile. È vero che il nostro prontuario nazionale vale un po’ più di 20 miliardi di euro all’anno ugualmente divisi tra i canali di distribuzione delle farmacie territoriali e di quelle ospedaliere ma la credibilità dei numeri che si intendono riformare con quel documento, peraltro molto approssimativo e vago, si ferma qui.

Tanto per cominciare andrebbe dimostrato che un prontuario vecchio costa di più di uno nuovo. Potrebbe essere vero esattamente il contrario: più vecchio è un prontuario più alta è la quota di farmaci generici e la concorrenza è più forte. Per gli stessi motivi non è vero che un numero più basso di farmaci si accompagna necessariamente ad un costo del prontuario più basso a meno che non ci riferisca alla lista delle cosiddette medicine essenziali dell’OMS che però non bastano per trattare tutte le patologie presenti sul territorio italiano tenendo conto dell’epidemiologia delle malattie in un Paese industrializzato.

Oltretutto con meno farmaci si rischia di avere dei prodotti in regime di quasi monopolio ancorché equivalenti che non è mai una buona idea perché aumenta la probabilità di accordi sleali, soprattutto se questi pochi farmaci vengono poi ulteriormente filtrati dai prontuari e dalle gare promosse dagli enti locali.

Gli esempi che sono stati portati a conforto della tesi per la necessità della revisione del prontuario non sono esatti. Non è vero “che nel 1993, la spesa farmaceutica era di 9mila miliardi di lire” e che “oggi la spesa è esponenzialmente più alta”. Come ricavabile dal rapporto NSIS dell’Istituto Superiore di Sanità sull’andamento della spesa farmaceutica dal 1985 al 2001, nel 1993 la spesa farmaceutica totale era pari a 21 mila miliardi di lire (di cui 15.352 a carico SSN e 5.697 a carico dei privati) che equivalgono, a parità di potere d’acquisto, a 17,5 miliardi di euro attuali, come ricavabile dal convertitore on line del Sole 24 Ore.

Va anche considerato che nel 1993, anno in cui peraltro è iniziata la decrescita demografica, nel nostro Paese c’erano molti meno ultrasessantacinquenni (per la precisione quasi 5 milioni in meno rispetto ad oggi). Siccome la spesa farmaceutica degli anziani è oltre il doppio di quella media l’aggravio attuale di spesa per il SSN rispetto al 1993 è di ulteriori 2,3 miliardi di euro. Il costo del prontuario attuale con farmaci straordinariamente più efficaci di quelli di venticinque anni or sono non è quindi esponenzialmente più alto, anzi.

Che si citi il 1993 anche se in modo approssimativo come spartiacque tra una pessima Governance farmaceutica e quella immediatamente successiva è tuttavia interessante. Dopo infatti almeno 7 anni (1985-1992) in cui spesa farmaceutica saliva stabilmente con un tasso medio del 10% per anno, scoppiò il cosiddetto “scandalo Poggiolini” e va riconosciuto che la CUF fresca di nomina fece presto e bene a far risparmiare al SSN nel quinquennio successivo (1993-1997) circa 4mila miliardi di lire (corrispondenti a circa 2,8 miliardi di euro a valore attuale). A onor del vero va ricordato che fu un’operazione benemerita per le casse dello Stato e ancora oggi molto ben pubblicizzata ma abbastanza facile perché quel prontuario era pieno di prodotti rimborsati ma totalmente inutili e senza alcuna evidenza scientifica perché approvati grazie alle tangenti pagate a favore degli allora vertici del Ministero della Salute, tutti poi condannati in via definitiva.

Ancora più interessante è però valutare cosa accadde alla spesa farmaceutica a carico del SSN subito dopo la revisione del 1993. Infatti, dopo una riduzione ad un tasso medio dell’8,4% all’anno nel primo triennio, corrispondente a poco più di un miliardo di euro attuali, dopo il 1995, la spesa riprese a crescere con un tasso medio del 10,3% annuo, ovvero esattamente come prima della revisione. Il risultato finale di quella revisione proprio perché non strutturale, fatta nello stesso modo di come si vorrebbe farla oggi, fu disastroso. Nel 1998 la spesa per i farmaci a carico del SSN era sostanzialmente tornata ai livelli del 1993 (15.708 vs. 15.352) ma, nel frattempo, la spesa privata era raddoppiata, raggiungendo oltre 10.000 miliardi di vecchie lire. Si potrebbe quasi concludere che quella revisione fu la causa di un aumento della spesa privata e bisognerà stare attenti che ciò non accada di nuovo. La spesa farmaceutica globale (SSN + Privata) che nel 1992 era pari a 21.321 miliardi di lire, divenne di 26.032 nel 1998, per arrivare a oltre 33.500 nel 2001 ovvero esattamente uguale a oltre 22 miliardi di euro attuali, una spesa ben superiore a quella oggi oggetto della revisione.

Con simili premesse si può fare a meno di notare che l’attuale documento ministeriale sulla Governance cita una serie di categorie terapeutiche relative a medicinali dispensati attraverso le farmacie territoriali, sulle quali si pensa di intervenire e che, considerando i dati del rapporto OsMed 2017, assommano a un valore di più o meno il 25% (43 Euro pro capite) della spesa totale annuale di circa 10 miliardi di Euro.

Si ommette però di dire che questa spesa, proprio per il ragionamento che facevo prima sulla più alta percentuale di farmaci equivalenti e grazie anche alla manovra basata sulla concorrenzialità che gli Uffici di AIFA fecero nel settembre del 2015 e da cui sarebbe stato logico ripartire se si fosse voluta fare una vera riforma strutturale, scende comunque stabilmente e di diversi punti percentuali per anno da almeno 6-7 anni (la previsione per il 2018 è pari a meno 3,4% rispetto al 2017). Va ricordato che l’eventuale sfondamento di questo tetto andrebbe ripianato al 100% dalle aziende farmaceutiche. È noto a tutti che questo sfondamento, da diversi anni, non accade.

Viceversa, la spesa per i farmaci ospedalieri acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche, se l’anno si chiudesse come previsto dall’ultimo monitoraggio pubblicato dall’AIFA, raggiungerebbe circa i 10,8 miliardi di euro. Ciò significa che l’ipotizzato 3,4% recuperato sulla spesa territoriale verrà perso dallo sfondamento della spesa ospedaliera che potrebbe valere almeno 3 miliardi di euro. Va ricordato che l’eventuale sfondamento di questo tetto va ripianato al 50% dalle Regioni e al 50% dalle aziende farmaceutiche se, e solo se, i dati sul payback saranno forniti all’AIFA in maniera corretta per non esporsi a ulteriori ricorsi. Quindi, mentre sul recupero di 2 miliardi dalla revisione del prontuario si possono nutrire forti dubbi lo sfondamento dei 3 miliardi dell’ospedaliera di cui 1,5 a carico delle Regioni è una certezza.

Le categorie di farmaci che sembrano di maggior interesse nel documento della Governance assommano a circa 2,6 miliardi di euro sia nel canale territoriale che in quello ospedaliero e se, proprio a causa dello sfondamento della spesa farmaceutica ospedaliera, dovessimo recuperare urgentemente risorse per 2 miliardi di euro, ciò significherebbe un taglio dei prezzi tra il 26 e il 43% mettendo senza dubbio a rischio la continuità terapeutica oltre che la tutela della salute.

Il principio invocato a giustificazione di questa linea d’indirizzo è l’equivalenza terapeutica per categorie omogenee ovvero l’ipotesi che principi attivi diversi indicati per la stessa patologia e popolazione siano uguali al punto che le Regioni possano sceglierne uno con una gara e eliminare le alternative.

È tuttavia quantomeno discutibile che sia l’AIFA a dover decidere se un farmaco è uguale all’altro tanto da ridurre le opzioni terapeutiche per il paziente. Sostituire un farmaco è una decisione scientifica e medica rispetto alla quale non l’AIFA ma la comunità scientifica dovrebbe esprimersi con dati e articoli su riviste internazionali non su siti web o giornali dove pure io, in questo momento, sto enunciando delle opinioni personali e non delle certezze scientifiche e su cui, comunque, non intenderei mai far scommettere al Governo Italiano 2 miliardi di euro.

Che la tutela della salute e il rispetto dei pazienti non siano al centro dell’attenzione della nuova Governance lo si capisce da affermazioni che per uno Psichiatra sono francamente difficili da comprendere quando durante la presentazione del documento al Ministero si dichiara che “non possiamo avere in Italia 21 farmaci antidepressivi e non sapere se ce n’è uno che funziona meglio degli altri…” perché non solo sappiamo invece di non avere abbastanza farmaci per fronteggiare quella che l’OMS considera la seconda causa di disabilità nel mondo entro il 2020 ma soprattutto sappiamo che il loro prezzo è assolutamente insignificante per la stragrande maggioranza di essi costando al nostro SSN, secondo le liste di trasparenza AIFA, meno 30 centesimi di euro al giorno.

Ad una prima lettura questo documento ha un sapore “antico” forse scritto per una Governance obsoleta e neppure più adatta, come abbiamo visto, ad un altro millennio e ad un’altra farmaceutica ma, ad un’analisi più attenta, si percepiscono note “nostalgiche” che ripartono proprio dai fasti autoreferenziali della vecchia CUF e anche delle categorie omogenee del 1999 che vennero applicate allora a prodotti attualmente tutti generici e per cui oggi non avrebbero alcun senso usare le stesse strategie.

Per cercare di ottenere dei risultati altamente improbabili non solo si esporrebbe l’AIFA a rischi di contenzioso ma la si inviterebbe a seguire qualche fantomatica linea guida locale, nazionale o revisione sistematica che non hanno alcun valore regolatorio. L’intenzione di relegare i compiti dell’Agenzia regolatoria nazionale a una sorta di grande alibi delle decisioni regionali si legge nel documento d’indirizzo quando persino alla ricerca indipendente (indipendente!) si chiede di produrre studi osservazionali o revisioni sistematiche a sostegno dell’attività regolatoria di AIFA e si conferma nel pregiudiziale invito a ridurre l’attività di Scientific advice nazionale a favore della produzione di pareri formali o linee guida mentre magari i Scientific advice magari saranno offerti da qualche altro istituto o ente locale che non possiede alcuna autorevolezza regolatoria, tantomeno a livello internazionale.

Ci sono altri punti che affronterò in dettaglio successivamente in appositi articoli sul tema ma esiste già la ragionevole certezza che non sarà assolutamente possibile attuare quanto contenuto nel suddetto documento perché sono sbagliate le premesse, sono sbagliate le ipotesi di calcolo e saranno largamente disattese le aspettative e quindi i risultati.

Basterà aspettare per vedere chi ha ragione ma nel frattempo rammentiamoci che “Chi non ricorda il proprio passato è condannato a ripeterlo”, ma se evitasse di farlo ripetere anche agli altri sarebbe molto meglio.

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