Il calcio italiano si ritrova nel cuore dell’incubo: un morto, durante quello che è stato definito dal questore di Milano un ‘assalto squadrista’. Sullo sfondo, i vergognosi e reiterati ululati razzisti, indirizzati al più forte giocatore avversario, nel tempio del nostro pallone, lo stadio Giuseppe Meazza.
Una notte da tregenda, è vero, ma per la quale non abbiamo il diritto di dirci sorpresi. È stata, infatti, una serata particolarmente brutta e incattivita, in un contesto che troppo spesso è animato da violenza verbale, nessun rispetto per l’avversario e disinteresse per i più elementari principi di lealtà sportiva. Dunque, non inspiegabile e tantomeno sorprendente. Molto si è fatto, è vero, per contenere la furia delle bestie da stadio, ma chiunque avesse avuto voglia di osservare con attenzione il fenomeno, avrebbe scorto il fuoco sotto la cenere. Da una parte, c’è la violenza cieca e belluina, andata in scena ieri sera in via Novara, a Milano. Quello è essenzialmente un problema di ordine pubblico e va trattato in quanto tale. Sono frange delinquenziali, soggetti pericolosi, personaggi per cui il famigerato Daspo è ormai più una medaglia da appuntarsi al petto, che un reale deterrente.
Quanto a chi decida di passare il tempo di una partita a ululare come un primate, contro gli avversari di colore, non abbiamo voglia di chiederci cosa abbia in testa. Presumibilmente nulla. Badiamo, invece, a un altro elemento, che ci porta fuori dagli stadi: la totale assenza di senso di responsabilità. Da chi si esercita nei rivoltanti ‘Buu’, a chi dovrebbe sanzionarli nell’immediato, fino a chi dovrebbe provvedere alle successive misure disciplinari, si assiste a un continuo fuggi-fuggi dai propri doveri.
Nessuno sembra voler prendere coscienza, fino in fondo, del problema. Che ad un arbitro esperto non bastino tre avvisi caduti nel vuoto, rivolti al pubblico, per procedere ad una sospensione temporanea della partita è sconcertante. Spiegabile solo con l’italianissimo esercizio dello scaricabarile. Qualcuno deciderà, finché nessuno decide. Ieri sera, oggi lo dicono tutti, ma è palesemente troppo tardi, la partita andava fermata. Punto. La responsabilità ricade sull’arbitro, che non se l’è voluta prendere.
Detto che la cosa andrebbe sanzionata, è giusto interrogarsi sul perché. La verità è che nel calcio tutti recitano a soggetto: dirigenti, calciatori, giornalisti e tifosi interpretano una parte in commedia. Le posizioni scomode, le personalità forti, non piacciono, lì dove la parola d’ordine sembra essere: “non disturbate il manovratore“. L’importante è raccattare quanti più soldi possibile dalle televisioni, tutto il resto può aspettare.
Poi, arriva il 26 dicembre, la tragedia e l’ennesima vergogna. Le maschere cadono tutte insieme e quello che resta è desolante.