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Huawei e via della Seta, la Cina cerca cooperazione, non egemonia. Parla Yu Xuefeng

dazi

L’arresto in Canada di Meng Wenzhou, direttrice finanziaria del colosso hi-tech cinese Huawei che ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti con l’accusa di aver messo in piedi un sistema per circumnavigare le sanzioni contro l’Iran, costituisce l’apice di un’escalation fra Washington e Pechino che vede le due potenze contrapposte su più fronti: dal confronto militare nel Mar Cinese Meridionale alla guerra dei dazi passando per la battaglia nello spazio cibernetico.

Nell’accademia americana e di molti altri Stati occidentali si fa spazio fra i politologi la tesi di una riedizione della Guerra Fredda in cui la Cina costituirebbe lo sfidante per eccezione dell’egemonia statunitense e del mondo occidentale. Una tesi rifiutata a priori dagli accademici cinesi, che invece presentano la crescita del Dragone sullo scenario globale, ben rappresentata dalla nuova Via della Seta inaugurata dal presidente Xi Jinping, come un’occasione per il resto del mondo e accusano gli Stati Uniti di cercare lo scontro frontale.

È di questo avviso Yu Xuefeng, professore di politica internazionale all’Università degli Studi Internazionali di Pechino, in questi giorni a Roma per commemorare alla Farnesina i cinquant’anni di Pietro Nenni, ministro degli Esteri, ospite dell’omonima fondazione. “L’arresto di Meng ha spiazzato l’opinione pubblica”, spiega intervistato da Formiche.net, “gli Stati Uniti pensano di poter far valere le loro leggi come diritto internazionale”.

Professore come è stato accolto in Cina l’arresto di Meng Wenzhou?

L’opinione pubblica cinese è molto arrabbiata di questa azione che gli Stati Uniti hanno preso nei confronti di una persona individuale cinese. Arrestare così, senza nessuna giustificazione, la figlia del titolare di una società cinese competitor di aziende americane dimostra che gli Stati Uniti credono di poter far valere le loro leggi interne come leggi internazionali.

Ci spieghi meglio.

Gli Stati Uniti parlano sempre di democrazia e diritti umani, ma non sempre li rispettano. Non si può arrestare una persona solo perché è sospetta. L’arresto di Wenzhou ha lasciato spiazzato il popolo cinese, ma non è il primo caso.

L’allarme Huawei però è stato lanciato dall’intelligence di tanti altri Paesi. Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, perfino Italia. Sono tutte congetture?

Non credo siano accuse sostanziate dalla realtà. Nella sua storia la Cina non ha mai invaso la sovranità di altri Paesi né ha cercato l’egemonia globale. Il mondo pensa che la Cina stia divenendo una minaccia, ma il popolo cinese fatica a capire questa preoccupazione, perché queste ambizioni non fanno parte della nostra storia.

Come spiega la diffusa percezione di un progetto egemonico sotteso alla crescita economica del Dragone?

La straordinaria crescita e la stabilità dell’economia cinese non può preoccupare il mondo, dovrebbe bensì essere un fattore positivo per contribuire alla stabilità del mondo. Senza crescita economica come può la Cina mantenere un miliardo e quattrocento milioni di abitanti?

Rifiuta dunque a priori la tesi di uno scontro economico e militare in atto fra Cina e Stati Uniti?

Non c’è nessuno “scontro di civiltà”. Gli Stati Uniti sono la prima potenza globale da tanti anni e hanno questa auto-percezione di sé. Comprendiamo in parte le preoccupazioni degli americani di fronte alla crescita della Cina sullo scenario globale. Quel che non capiamo è perché gli Stati Uniti guardino ai competitor nell’ottica dello scontro e della possibile “sconfitta”.

Alcuni studiosi americani hanno coniato l’espressione “sharp power” (potere affilato, ndr) per descrivere la sfida della Cina all’egemonia dell’Occidente.

Questa è una narrazione ideologica. La Cina è cresciuta molto in questi anni e ora sente il dovere, la responsabilità storica di costruire un mondo migliore e più armonioso, di aiutare gli altri con gli strumenti di cui dispone. È un concetto molto caro al presidente Xi Jinping.

Oggetto di crescente preoccupazione è la nuova Via della Seta inaugurata da Xi, il mastodontico progetto infrastrutturale che unirà via terra e via mare l’Asia all’Europa passando per l’Africa. Diversi Stati hanno denunciato le finalità politiche di questo piano.

La Cina ha proposto questa iniziativa per trovare una soluzione efficace ai problemi che sta affrontando a livello globale. Siamo divenuti la seconda economia del mondo, dobbiamo assumerci maggiori responsabilità. La via della Seta è la misura concreta per farlo, non un progetto egemonico.

Un caso che riguarda da vicino l’Italia è quello degli investimenti cinesi nei porti del Mediterraneo. Il porto di Trieste costituisce il terminale ideale per la via della Seta, ma in molti segnalano il rischio di una leva politica in mano alle compagnie cinesi che investono nelle infrastrutture europee.

L’obiettivo del governo cinese è sempre quello della doppia vincita. Gli investimenti della Belt and Road Initiative non sono un gioco a somma zero, tutti devono trarne beneficio. Nessuno è così ingenuo da cercare appositamente lo scontro. La Cina ha già tanti problemi interni da risolvere, a cominciare da una grande crisi demografica, non ha bisogno di ricattare altri Stati attraverso gli investimenti nelle loro infrastrutture.

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