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La spada di Damocle delle clausole di salvaguardia

Non starò a commentare la manovra concordata dal governo con l’Unione Europea. L’opinione pubblica sembra divisa fra chi vede il bicchiere mezzo pieno di un accordo comunque trovato con Bruxelles e il rispetto, almeno nominale, delle promesse elettorali sui due cavalli di battaglia dei partiti al governo (reddito di cittadinanza e quota 100); e chi continua a vedere il bicchiere mezzo vuoto di una manovra troppo rivolta alla spesa corrente piuttosto che a misure strutturali per la crescita.

Personalmente, appartengo al secondo gruppo. Con un’aggiunta, ancora più preoccupante: le clausole di salvaguardia sull’aumento dell’Iva, una vera e propria spada di Damocle sospesa sopra le nostre teste.

In soldoni, “clausole di salvaguardia” significa che il governo, per farsi approvare la manovra, ha accettato che se non verranno trovate ulteriori risorse l’Iva salga dal 10% al 13% per l’aliquota ridotta e dal 22 al 26,5% per quella ordinaria entro il 2021. Per disattivare queste clausole, sarà necessario trovare 23 miliardi per il 2020 e quasi 29 per il 2021. Il che significa che i governi che prepareranno le prossime manovre finanziarie saranno costretti a ridurre di 23 e 29 miliardi la spesa per gli obiettivi politico-strategici che intenderanno perseguire, a spanne 1,3% e 1,6% del PIL!

Ogni anno, cioè, dovremmo buttare al vento intorno al 5% del Pil solo per pagare gl’interessi sul debito e la sterilizzazione dell’Iva. Con buona pace per i dotti dibattiti politici ed accademici su come favorire la crescita; per la quale, comunque vada, resteranno solo briciole.

L’alternativa, naturalmente, è non sterilizzare le clausole di salvaguardia e lasciare che l’Iva salga, con effetti però devastanti sull’economia: crollo della domanda per consumi interni, con effetti negativi sulle aspettative delle imprese che producono per il mercato interno e conseguente diminuzione degli investimenti e dell’occupazione, che a loro volta porteranno con sé un ulteriore calo della domanda, in una spirale deflattiva che apre di fronte al paese un baratro senza fondo. Naturalmente in attesa che questo enorme processo deflazionistico (che tutti a parole dicono di voler contrastare) faccia scendere salari e prezzi interni in modo da assicurare una domanda esterna sostenuta e, nel lungo periodo, la stabilizzazione delle aspettative e dei comportamenti di consumo ad un livello più basso. Una bella prospettiva, non c’è che dire…

Soprattutto per coloro che, possessori di redditi fissi, non potranno che ridurre il paniere di consumo al crescere del suo costo, senza poter tentare di scaricare sui prezzi gli effetti dei rincari negli acquisti. Ma anche per piccoli commercianti e piccole e medie imprese, che subiranno inevitabilmente il calo della domanda.

Naturalmente, non è un problema specifico dell’attuale governo. È dal governo Berlusconi del 2011 che sono state introdotte le clausole di salvaguardia. Ma continuare a scaricare su chi verrà dopo la responsabilità di togliere le castagne dal fuoco messe da chi è venuto prima, è sintomo di una irresponsabilità generale ed ormai stabile delle nostre classi politiche che trovo intollerabile. Una irresponsabilità che ricade in ultima analisi sui cittadini italiani, anche se in maniera asimmetrica, ossia sui meno abbienti.

Almeno oggi sappiamo che anche questi due nuovi partiti al governo sono fatti, purtroppo, della stessa pasta dei vecchi.

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