L’esercito israeliano ha lanciato un’operazione per “esporre e contrastare” i tunnel costruiti dal gruppo militante di Hezbollah. Infrastrutture clandestine che si estendono dal Libano al nord di Israele, considerate come una via d’accesso allo stato ebraico che il Partito di Dio, sciita e filo-iraniano, potrebbe sfruttare come mossa per un attacco a sorpresa.
I tunnel per ora non sono operativi, hanno detto i militari israeliani, sottolineando che l’attività di ricerca e distruzione avverrà all’interno del territorio di Israele, ma è chiaro che l’operazione potrebbe far salire le tensioni tra Israele e il suo nemico libanese, con cui nel 2006 ha combattuto un conflitto aperto non ancora risolto.
Le preoccupazioni derivano anche dal sostegno ufficiale che Hezbollah, diventato in questi anni sempre più potente in Libano, ottiene da Teheran. Gli iraniani considerano il partito un proxy per espandere la propria influenza a Beirut e non solo: gli Hezbollah per esempio rappresentano il principale dei gruppi militari sciiti mobilitati dagli ayatollah della Repubblica islamica per difendere il regime alleato in Siria.
Ora che il rais Bashar el Assad ha riconquistato gran parte del territorio ed è sulla via della riqualificazione, gli israeliani temono che il paese possa diventare una piattaforma militare iraniana, piazzata al confine dello Stato ebraico, visto l’abilità con cui Teheran ha diffuso il suo potere all’interno del territorio siriano. Di più: gli israeliani, ormai da quasi cinque anni, stanno bersagliando i passaggi di armamenti con cui l’Iran rifornisce Hezbollah in Siria. Armi che secondo le intelligence di Tel Aviv prima o poi verranno riutilizzate per rinfocolare il conflitto di un decennio fa contro Israele – per questo i tunnel sono postazioni tattiche cruciali da disarticolare.
Per il momento, i militari non hanno rivelato quante gallerie che partono dal Libano ci sono in territorio israeliano o quali strumenti avrebbe utilizzato per fronteggiare la minaccia (informazioni che sono sensibili, dati di intelligence che non è possibile rendere pubblici), ma hanno spiegato che l’operazione potrebbe durare per settimane (e dunque: sono parecchi). Israele, che ha passato anni a distruggere la rete di tunnel che dalla Striscia di Gaza entra nel proprio territorio, ha dalla sua l’esperienza acquisita e le capacità operative collegate.
Un funzionario militare libanese ha dichiarato all’Associated Press, a condizione dell’anonimato, che le truppe libanesi e gli agenti dell’intelligence militare, insieme alle forze di pace delle Nazioni Unite dispiegate nell’area di deconflicting al sud del Libano, stanno osservando il confine – dove Israele ha già costruito un muro difensivo definito una necessità per la sicurezza nazionale e la protezione dei suoi cittadini.
“Consideriamo le attività di Hezbollah come una flagrante violazione della sovranità israeliana” e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, ha detto il tenente colonnello Jonathan Conricus, uno dei portavoce di Tzahal, come gli israeliani chiamano l’esercito: “Questa attività (intende i tunnel, ndr) è un altro esempio degli effetti negativi del radicamento iraniano nella regione”. Conricus è tornato sui rischi di un attacco da parte di Hezbollah, su cui i servizi segreti israeliani hanno scoperto le carte da almeno due anni: ha spiegato che i libanesi sono pronti, si sono armati, e avrebbero intenzione di sfruttare i tunnel come “effetto sorpresa” per infiltrare loro combattenti o terroristi. Li osserviamo dal 2013 tramite una task force speciale, ha detto il colonnello; ci sono città come Metula, esattamente sul confine Libano-Israele, dove i cittadini segnalano da anni le operazioni di scavo dai territori libanesi. Tuttavia l’ufficiale non ha spiegato come mai l’operazione è stata lanciata adesso.
Tra le coincidenze temporali: poche ore prima dell’inizio dell’operazione, il primo ministro, Benjamin Netanyahu (che sta affrontando una crisi di governo che ha portato alle dimissioni del ministro della Difesa per la gestione di una tregua a Gaza, e contemporaneamente sta vivendo una vicenda giudiziaria personale), era volato a Bruxelles dove ha discusso dei “modi per fermare l’aggressione iraniana nella regione”, compreso il Libano, con il segretario di Stato americano, Mike Pompeo. Stati Uniti e Israele sono totalmente allineati sul confronto geopolitico (e militare, se serve) all’Iran, e Washington ha fatto da catalizzatore per facilitare un allineamento storico, tanto da non essere ufficiale, tra Tel Aviv e Riad, due mondi ideologicamente molto distanti. In questi giorni, nel Golfo Persico, dopo un’assenza sostanziale da diversi mesi, è arrivata la portaerei americana “USS John Stennis” col suo gruppo da battaglia: una forma di deterrenza contro l’Iran, con cui Washington sottolinea l’appoggio agli amici dell’area.
Da qualche settimana gli esperti segnalano che il fronte dello scontro regionale tra Israele e Iran si sarebbe spostato verso il Libano. Uno shift forse legato anche all’abbattimento, per errore, di un aereo russo, colpito dal fuoco amico della contraerea siriana durante un raid israeliano contro postazioni di Hezbollah appena oltre le alture contese del Golan (confine siro-israeliano). Mosca, che per puntellare Damasco ha dovuto necessariamente contare sul sacrificio di sangue che Teheran ha chiesto ai gruppi sciiti, per primi i libanesi, è nervosa: non vuole problemi da Hezbollah e Iran, non vuole inimicarsi Israele.
“L’operazione scattata la scorsa notte e annunciata anche attraverso i media dalle Idf ha molteplici scopi. In primo luogo segna lo spostamento, dalla Siria al Libano, della guerra chirurgica che Israele ha condotto in questi anni contro gli Hezbollah sul territorio siriano, non ultimo il raid della settimana scorsa”, spiega Matteo Bressan, analista della Nato Defence Collage Foundation, docente di Relazioni internazionali presso la Lumsa, uno degli esperti italiani che segue da più tempo la crisi siriana, autore di diversi libri su Libano, Hezbollah e crisi siriana.
“La volontà di distruggere i tunnel scavati dagli Hezbollah tra il confine libanese e quello israeliano è, in secondo luogo, un messaggio ben preciso che le Idf (acronimo inglese delle forze armate israeliane, ndr) stanno mandando al Partito di Dio e al governo libanese”, aggiunge. Perché? “Si tratta di un messaggio che conferma come Israele sia deciso a ribadire dalla Siria al Libano una serie di linee rosse oltre le quali sia gli Hezbollah che le milizie iraniane non possono andare”.
C’è qualcosa che sta cambiando? “A 12 anni dalla guerra dei 34 giorni, segnati da una sostanziale stabilità sul confine tra il Libano e Israele, lo scenario è mutato. Gli Hezbollah hanno vinto, con il loro contributo militare, la guerra in Siria. Hanno condotto sul campo azioni coordinate con le forze aeree russe e sono diventati un attore regionale e globale pur essendo un non state actors.
“La loro ‘anomalia‘ – continua Bressan – e il ritorno in Libano, con l’esperienza acquisita sul campo di battaglia siriano, pone nuove sfide a Israele, la cui strategia di contrasto passa per operazioni mirate, come quella a cui stiamo assistendo di distruzione dei tunnel, a possibili scenari di guerra su vasta scala i cui esiti potrebbero essere differenti rispetto al 2006″. Con che scenario? “Diciamo che sulla base delle stime della capacità militari degli Hezbollah da una parte e sulle intenzioni delle IDF dall’altra, non sarebbe limitato alla frontiera tra i due Stati”.
(Foto: Twitter, @IDF)