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Macron litiga con Philippe. In barba ai sondaggi e alla rivolta (che si estende)

Emmanuel Macron e Édouard Philippe, a seguito delle manifestazioni e delle dure (e perfino violente) contestazioni, non hanno raccolto frutti dall’indignazione popolare per l’aggressiva protesta dei gilet gialli ed occasionali alleati che hanno messo a ferro e fuoco la Francia nei giorni scorsi.
Nell’ultima settimana, come rivela il “Figaro”, la sfiducia dei francesi nei loro confronti è vistosamente cresciuta. Il presidente ha perso il 5% dei consensi; il primo ministro il 9. L’uno ha toccato la punta minima del 21%, mai accaduto ad un presidente dopo poco più di un anno mezzo dall’elezione; l’altro il 22%. Nel giugno dello scorso anno il primo aveva il 57% poi sceso al 44% nel gennaio del 2018 ed ora ha toccato la soglia minima, peraltro già affiorata, qualche mese fa, come tendenza media. Philippe, partito da un non molto rassicurante 49% al momento dell’insediamento, dunque considerato con un bel po’ di scetticismo, ha comunque tenuto fino a gennaio (42%) per poi progressivamente precipitare all’allarmante soglia di sfiducia di oggi. A favorire la discesa di entrambi nei sondaggi di opinione è la palese divergenza sulla patrimoniale, per esempio, sostenuta da Philippe e avversata da Macron, oltre che sulla strategia complessiva per arginare il malcontento. Crepe che potrebbero diventare voragini.

Se Macron non può costituzionalmente dimettersi, niente vieta che lo faccia il suo primo ministro per il quale – se non in casi eccezionali – è prevista una mozione di sfiducia parlamentare, ma essendo espressione diretta del presidente soltanto lui potrebbe indurlo a lasciare Palazzo Matignon. Qualora Macron azzardasse una mossa del genere inevitabilmente porrebbe le premesse per le sue stesse dimissioni, impensabili anche se i sondaggi dovessero trascinarlo nel baratro dell’irrilevanza. La “protezione” della Costituzione della Quinta Repubblica gli conferisce un’aura da monarca. Ed i re abdicano a furor di popolo o per conclamato tradimento.

I gilet gialli non pensano a quest’esito. Il sistema politico francese è quasi dissolto e si può ricompattare soltanto tenendo in scacco Macron che lavora pur inconsapevolmente per i suoi avversari. Lo sanno bene alcune forze, in particolare, come i socialisti, gli ex-comunisti, i post-ex-gollisti, naturalmente il gruppo di En Marche che all’Assemblea nazionale hanno presentato una mozione di censura per quanto è avvenuto il primo dicembre scorso. Ma nella stesso tempo la sinistra radicale, pur condannando tiepidamente l’accaduto, ne ha presentata un’altra contro il presidente.
Un aiuto a Macron da parte di chi è nella sua coalizione o sta aspettando, come i socialisti, di rientrare in gioco? Chi la legge così non ha capito molto delle dinamiche politiche parigine. L’atto parlamentare è un subdolo espediente per far sapere dal Paese che c’è una opposizione costituzionale disposta ad allearsi con settori della maggioranza contro derive violente che mettono a dura prova la nazione, i cittadini, la convivenza. Ma, nel contempo, una certa indulgenza, più marcata da parte di Mélenchon, traspare per il movimento. Marine Le Pen curiosamente, almeno a livello parlamentare, non dà segni di particolare vivacità. Curioso.

Intanto gli espedienti del governo per moderare il malcontento del gilet gialli sembrano inadeguati. Malgrado l’annuncio della soppressione nel corso del prossimo anno delle tasse sui carburanti che hanno fatto deflagrare la protesta, gli appelli alla manifestazione programmata per il rione settimana sono stati reiterati. Al momento un’altra giornata di fuoco si profila all’orizzonte, mentre scontri tra studenti e polizia nel sud della Francia hanno fatto da antipasto a quanto potrebbe accadere sabato prossimo. I sindacati riflettono, ma i gruppi spontanei soprattutto hanno già fatto sapere che gradiranno la partecipazione di categorie professionali, degli studenti, degli artigiani e degli agricoltori alla mobilitazione.
La tensione aumenta proprio tra gli studenti delle scuole superiori che intendono approfittare del malessere generale per marcare la loro opposizione alle recenti riforme sull’istruzione. Chiedono l’abbandono, in particolare, delle misure discriminatorie introdotte lo scorso anno per accedere all’università.

Dunque l’estensione diventa davvero trasversale. Perfino i dipendenti dei cementifici potrebbero ingrossare le file degli gilet gialli, mentre i sindacati chiedono ai ferrovieri di lasciar viaggiare gratuitamente sui treni i manifestanti. L’eversione c’è tutta e Macron non sa come arginarla. Il sindacato di polizia Vigi, uno dei più rappresentativi, ha aderito al movimento dei gilet gialli chiedendo ai suoi aderenti di ridurre al massimo l’impegno lavorativo. Ed anche questa non s’era vista mai in Francia, almeno nell’ultimo cinquantennio.
Gli agricoltori, veri promotori della rivolta, attraverseranno tutte le regioni francesi e si raduneranno – hanno fatto sapere – davanti ai simboli dello Stato, a cominciare dalle prefetture,
Insomma, una “confrontazione” con il potere quale non si vedeva da tempo immemorabile. Organizzata non dai partiti, ma dalla categorie produttive. E sullo sfondo i sindacati tradizionali, come le forze politiche guardano con preoccupazione a questo fenomeno autenticamente populista che non ha alcuna pretesa demagogica se non quella di battere e costringere alla resa il “sovranismo” di Macron. Le parti si sono invertire. Il re (o presidente che dir si voglia) è nudo.

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