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Il Pentagono post Mattis e il nodo del Mar Cinese Meridionale

dazi, armistizio, cinese

Non solo Siria. Fra i tanti dossier che si ammasseranno sulla scrivania del futuro Segretario alla Difesa Usa Patrick Shanahan, designato come successore del generale James Mattis a capo del Pentagono e pronto a prestare giuramento il prossimo 2 gennaio, non va sottovalutato il precario equilibrio militare fra Washington e Pechino nel Mar Cinese Meridionale. L’addio anticipato di “Mad dog” Mattis, epilogo inevitabile dei dissapori venutisi a creare con il presidente Donald Trump, apre a una nuova fase dei rapporti fra Stati Uniti e Cina dai risvolti imprevedibili. Con Mattis il Pentagono perde un generale a quattro stelle considerato un’icona della guerra in Iraq e una leggenda nell’esercito, un interlocutore della Cina severo, impassibile, ma anche autorevole e ritenuto dalle controparti cinesi abbastanza saggio da voler evitare uno scontro diretto a largo delle coste che bagnano il Dragone.

Sono eloquenti a proposito le parole scelte oggi dal portavoce del ministero della Difesa cinese Wu Qian per commentare l’addio di Mattis al Pentagono. Pur stigmatizzando come “accuse false” alcuni passaggi della lettera di dimissioni consegnata da Mattis a Trump, dove il generale descrive Russia e Cina come due Paesi che “vogliono costruire un mondo sulla base del loro modello autoritario”, il portavoce ha riservato parole di apprezzamento al generale, che in questi anni avrebbe “fatto sforzi positivi per rendere più stabili i rapporti bilaterali militari fra Cina e Stati Uniti”. Il funzionario non ha mancato di auspicare relazioni “stabili e sane” fra i due Paesi sotto la leadership di Shanahan. Rimane ora il dubbio se e come il nuovo segretario, già alto manager di Boeing, intenda imboccare una linea di continuità nella gestione delle tensioni nel Pacifico.

Le premesse non sono rassicuranti. A fare la differenza c’è anzitutto il diverso peso reputazionale, che i cinesi sono soliti tenere in conto. “Mattis cercava di moderare le istanze di Trump nei confronti della Cina, di evitare lo scontro – spiega a Formiche.net Stefano Silvestri, già presidente dello Iai, membro della Commissione trilaterale – Shanahan potrà avere le stesse inclinazioni ma non gode della stessa autorevolezza. È un ministro di transizione, darà a Trump e al Congresso il tempo di scegliere il vero successore di Mattis”. Le parole del ministero della Difesa cinese, continua l’ex sottosegretario alla Difesa, non vanno sottovalutate. “È un avvertimento diretto agli Stati Uniti: attenzione, non fatevi prendere da iniziative sconsiderate nel Mar Cinese Meridionale. I cinesi non vogliono uno scontro diretto nella regione, non hanno una marina e un’aeronautica sufficientemente attrezzate per contrastare la presenza americana”.

Il segretario designato dovrà fare i conti con una Cina risoluta a rivendicare la sua sovranità sugli arcipelaghi a Sud delle sue coste e ad allentare la presa di Washington su Taiwan (“Neppure un pollice di territorio può essere separato dalla madrepatria” aveva ammonito Xi Jinping in occasione delle celebrazioni per i 40 anni delle riforme di Deng). Shahanan condivide l’entusiasmo di Trump (e dei suoi strateghi per la politica estera, dall’ex Steve Bannon a John Bolton), per la “great power competition”, la competizione fra grandi potenze incastonata nella strategia per la Sicurezza Nazionale Usa non a caso definita “storica” dall’ex Boeing. Da vicesegretario alla Difesa è stato fra i più accesi fautori del riposizionamento delle spese militari dall’antiterrorismo a favore di misure di contenimento di Cina e Russia (come l’acquisto di bombardieri in grado di evadere i radar della contraerea cinese). Manca però di un passato nell’esercito, e questo deficit rischia di minare la sua presa sui generali impegnati a contenere le mire espansionistiche di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.

Gli incidenti che sempre più spesso si verificano in quelle acque fra cacciatorpediniere americani e la marina Cinese, accusata da Washington di non rispettare il “Freedom of Navigation Act”, il (conteso) diritto al passaggio innocuo delle navi militari nelle acque territoriali di un altro Paese, sono solo la punta dell’iceberg. Come ha spiegato in un recente articolo per Foreign Affairs l’analista del Pentagono Oriana Skylar Mastro, “invece che affrontare gli Stati Uniti allontanando il loro esercito dalla regione del Pacifico asiatico, la Cina si è impegnata in una serie di attività più sommesse, come il sabotaggio di navi e aerei americani con mezzi non militari, che le permette di mantenere un livello di discrezione e al tempo stesso di evitare una risposta degli Stati Uniti”. La “risolutezza” richiesta da Mattis a Trump nella lettera di dimissioni ha molto a che vedere con questo tipo di assertività cinese sul fronte Sud.



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