La manovra fresca di bollino verde (ma con riserva) da parte dell’Europa (qui l’intervista di ieri a Stefano Ronchi) nasconde nella verità più di un’insidia. Il prezzo da pagare per tenere in piedi reddito di cittadinanza e quota 100, certamente usciti depotenziati dalla trattativa (da 9 a 7,1 miliardi per il reddito e da 6,7 a 3,9 miliardi per le pensioni) è comunque alto e allora tanto vale farsi due conti. Nella legge di Bilancio gialloverde sono state infilate nuove tasse, parecchi tagli e un cospicuo ridimensionamento del volume di spesa per gli investimenti. I quali nel 2019 si ridurranno di 4,6 miliardi, anche se il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha più volte assicurato che lo stock verrà recuperato con la flessibilità concessa da Bruxelles dopo il 2020.
Venendo alle sforbiciate c’è per esempio il taglio sulle pensioni d’oro (che sarà valido dal 2019 per 5 anni), pari al 15% per i redditi compresi tra 100 mila e 130 mila euro lordi e arriverà al 40% per quelle superiori ai 500 mila euro. E ancora, il taglio per 3 anni dell’adeguamento delle pensioni oltre i 1.522 euro al mese (3 volte il minimo): la decurtazione maggiore, fino al 60%, scatta per gli assegni oltre i 4.566 euro. Ma il vero prezzo della manovra è un altro: l’Iva.
La posta di bilancio con cui l’esecutivo punta a finanziare le due misure bandiera dell’ex finanziaria. La quale prevede aumenti per 23 miliardi nel 2020 e quasi 29 (28,75) nel 2021 e nel 2022. La Relazione tecnica che accompagna la manovra spiega che, senza interventi, l’aliquota ridotta del 10% passerebbe dal 2020 al 13%, mentre l’aliquota ordinaria oggi al 22% passerebbe nel 2020 al 25,2% e nel 2021 al 26,5% nel 2021. Non esiste un Paese in Ue con un’Iva al 26,5%, peggio solo l’Ungheria con il 27%. Le imprese che Confindustria rappresenta non potrebbero mai gradire.
Qualcosa non torna secondo Andrea Montanino, che di Confindustria dirige e coordina il Centro Studi. Ieri l’economista ex Fmi ha pubblicato su Twitter una tabella diffusa dallo stesso governo in commissione Bilancio, nella quale si evidenziano gli scostamenti di alcune voci del bilancio pubblico, per i prossimi tre anni. E sull’Iva, ci sono poche interpretazioni: dai 9,4 miliardi del 2020 si passa agli oltre 13 dell’anno successivo. Montanino prende subito la questione di petto.
“Questa è una manovra che pur di far quadrare i conti, progetta un aumento consistente dell’Iva, con una aliquota fino al 26,5%”, spiega il capo del Centro studi di Confindustria. Il quale non fa fatica a bollare parte della manovra legastellata come “un’ipoteca sul futuro: non è pensabile un tale aumento dell’Iva. A questo punto credo sia giusto chiedersi, che cosa succederà il prossimo anno? Certo non si potranno tagliare reddito di cittadinanza e quota 100: le spese sono inerziali e una volta che ci si è abituati è difficile tornare indietro”, chiarisce Montanino. A onor del vero è anche difficile pensare a Luigi Di Maio e Matteo Salvini che prima sponsorizzano due misure del contratto e poi le fanno sparire. Politicamente sarebbe un gioco a perdere.
Alcune slide diffuse dallo stesso Centro studi di Confindustria poi quantificano in 28,8 miliardi il valore delle clausole di salvaguardia (Iva compresa) attive al 2021. “L’accordo con l’Ue ha di nuovo aumentato il valore delle clausole”, si legge nel documento. “Solo l’anno prossimo il governo dovrà gestire 23,1 miliardi di clausole, il valore più alto dal 2011. Senza dimenticare che dal 2015 ad oggi tutte le clausole sono state finanziate col deficit, vanificando le stesse ragioni per le quali erano state introdotte”.
“Certo”, spiega l’economista, “si può sempre decidere di aumentare almeno parzialmente l’Iva, ma per tagliare le imposte dirette e il costo del lavoro. Francamente ho l’impressione che alla fine si vadano a tagliare gli investimenti, perché come spesso è accaduto anche nelle passate manovre, è un capitolo tradizionalmente sacrificabile”. Il giudizio è netto e tutto sommato senza appello. “Questa è e rimane una manovra che non guarda al futuro il che conduce a un discorso più ampio e cioè che in Europa servono strumenti per la crescita di tipo sovranazionale, come gli eurobond”. Ma questo è un altro discorso.