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Quota 100 e reddito di cittadinanza. Il coraggio di tagliare gli sprechi

L’atteggiamento di certi commissari Ue (segnatamente Moscovici) nei confronti dell’Italia non è accettabile. Ci dobbiamo però chiedere se non ce la siamo andata a cercare da soli. A Bruxelles tutti sanno bene che i dati della nostra contabilità pubblica sono formali (abbiamo una contabilità di competenza, cioè giuridica, mentre alla Ue e in tutti gli altri Stati Membri la contabilità è di cassa) e non reali. I conti che via via presentiamo ai tecnici di Bruxelles non convincono.

Non è tra le pieghe della contabilità (di per se povera di informazioni reali) che vanno cercate le risorse. Né le risorse vanno cercate rinviando l’entrata in vigore dei provvedimenti: l’anno prossimo ci troveremo allo stesso bivio.

Le risorse vanno cercate tagliando gli sprechi. A Bruxelles interessa vedere se questo governo del cambiamento vuole veramente cambiare e affrontare l’impopolarità di tagliare i rami infetti. Sarebbe un messaggio che tranquillizzerebbe i mercati e le agenzie di rating. Gli sprechi non si trovano tanto nelle opere pubbliche faraoniche (che pur esistono) ma nell’operare quotidiano delle istituzioni.

Qui voglio richiamare due suggerimenti già accennati in questo sito (il primo di essi ho avuto occasione di farlo direttamente al Consigliere economico del ministro Luigi Di Maio e alla presidentessa della Commissione lavoro del Senato).

Il primo di questi suggerimenti riguarda le risorse ingentissime recuperabili dalla scandalosa gestione dei Fondi interprofessionali. Il d.lgs 875 del 1978 stabilisce che lo 0,30% del monte salari dei dipendenti da imprese private (ivi compresi i soci lavoratori delle cooperative e i dipendenti degli studi professionali) venga dedicata alla formazione; successivi interventi sono: Art.118 del d.lgs. 388/2000 – “Interventi in materia di formazione professionale nonché disposizioni in materia di attività svolte in fondi comunitari e di Fondo sociale europeo”; Articolo 118, comma 2, della l. n. 388/2000 modificato dal d.lgs. n. 150/2015; Legge 2/2009; Art.48 del d.lgs. 289/2002 – “Fondi interprofessionali per la formazione continua”; circolare n.10/2016 del ministero del Lavoro 18 febbraio; Anpal circolare 1/2018 del 10 aprile 2018 – Linee guida per i Fondi Interprofessionali.

Questa massa ingentissima di risorse viene affidata a degli enti bilaterali (composti da organizzazioni datoriali e sindacati) che spesso non riescono a spendere questi soldi o, peggio, danno luogo a pratiche borderline. Questo dipende dal fatto che il sistema è ancorato alla cifra versata da ogni impresa annualmente. Visto il basso numero di addetti della stragrande maggioranza delle nostre imprese, tale cifra non permette di finanziare nessuna seria azione formativa. Da qui le due evenienze citate: o le risorse restano in banca (quanti miliardi di euro?) o si attivano meccanismi opachi e pericolosi. Per non parlare del costo gestionale di questi enti bilaterali. Rammentiamo qui che il vituperato Monti ridusse per il periodo acuto della crisi il prelievo dallo 0,30% allo 0,18% tamponando così la falla Inps. Perché non si fa ricorso a queste risorse per finanziare il reddito di cittadinanza (questi fondi, comunque, dovranno confluire nei nuovi centri per l’impiego giocoforza)? Con lo 0,12% non si riuscirebbe a finanziare la famosa quota 100?

Il secondo dei suggerimenti riguarda gli sprechi generati dalla macchina relativa agli incentivi della produttività nel pubblico impiego. Tale macchina costa una cifra ragguardevole di miliardi euro, alimenta una massa di esperti negli Organismi Indipendenti di Valutazione/Oiv (qui si potrebbe aprire una ulteriore riflessione sul fatto che la normativa è talmente confusa che tali Oiv non potrebbero essere attivati negli enti locali, anche se di fatto lo sono). Perché non si ha il coraggio di applicare l’art. 21 del Dlgs 150/2009 (la normativa Brunetta sulla produttività) che incentiva la produttività distribuendo ai dipendenti una quota dei risparmi realizzati?

Qui non possiamo fare a meno di chiederci perché non si intraprenda la strada del taglio dei rami secchi. Perché sia a livello politico che a livello di dirigenza pubblica si è talmente sprovveduti che non ci si rende conto degli sprechi?. O perché scientemente non si vogliono affrontare i problemi? Non li si vogliono affrontare perché si vuole andare comunque al conflitto con la Ue?


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